mercoledì 25 marzo 2009

In risposta alla lettera a Marina Biagi - lettera

Caro Luca,

Marina Biagi mi ha chiesto di rispondere alla lettera che Lei Le ha scritto, a proposito della legge che porta il nome di Marco Biagi, ucciso dai terroristi sette anni fa.
Per risponderLe compiutamente dovrei scriverLe una lettera troppo lunga, ripetendo
cose che ho gia ripetutamente scritto, in molte sedi e soprattutto sul Corriere della
Sera. Mi limito a inviarLe qui allegata copia di alcuni articoli, nei quali mi sono
proposto di mostrare:
che nella Legge Biagi non e previsto e disciplinato un solo rapporto di lavoro a
termine che non esistesse gia prima (anche se per lo più con un nome diverso: il
contratto di formazione e lavoro e tornato a chiamarsi "apprendistato", la
collaborazione coordinata e continuativa — co.co.co. — e stata ribattezzata
"lavoro a progetto"; e cosi via); in proposito veda la tabella che fa da appendice
all'articolo "La Legge Biagi sul lavoro continuità o rottura col passato?"
(Corriere Giuridico, 25 febbraio 2004): mi sembra che ne risulti con tutta
evidenza che quella legge non ha creato un solo nuovo tipo di rapporto di lavoro
precario, ma ha semmai stretto le maglie della disciplina su quelli che gia
esistevano; che su nessuno di questi rapporti di lavoro non—standard la Legge Biagi e
intervenuta ad "allargare le maglie" della disciplina, bensì sempre a regolarli in
modo più rigoroso: tant'è vero che negli anni successivi si e verificata una
riduzione dei contratti di apprendistato rispetto al numero precedente dei
contratti di formazione e lavoro, nonché una riduzione dei rapporti di ”lavoro a
progetto" rispetto al numero delle collaborazioni coordinate e continuative
precedenti; e quando il Governo Prodi ha voluto dare un giro di vite contro gli
abusi di queste forme di lavoro da parte delle aziende, lo ha fatto emanando
due circolari che applicavano più rigorosamente la Legge Biagi;
che il fenomeno della crescita del lavoro precario ha radici molto più antiche
della Legge Biagi, nel nostro tessuto produttivo: la sinistra politica e sindacale,
individuando nella Legge Biagi Ia causa principale del precariato, ha
clamorosamente sbagliato il bersaglio.
Le segnalo che può trovare numerosi altri miei articoli su questo tema nell’archivio.
on line dei miei scritti, alla pagina web www.archivio.pietroichinoit: basta che nella pagina iniziale Lei selezioni Ia parola—chiave "Legge Biagi".
Resto comunque a Sua disposizione per un approfondimento del discorso, se lo riterrà opportuno.

Con i più cordiali saluti.

Pietro Ichino

martedì 17 marzo 2009

Palermo: 1.300 famiglie senza stipendio - lettera

Ciao ,
il mio lavoro, dal 6 settembre 2001, consiste nel rispondere al telefono. A Palermo presso l'azienda che gestisce da sette anni il call center Alitalia. Siamo in 1.300 e rispondiamo per diversi servizi, tutti legati al mondo del trasporto aereo e delle telecomunicazioni. Rispondiamo sette giorni su sette, 24 ore su 24, festivi inclusi. Io ho 31 anni e una bimba di 18 mesi. Ho cominciato a lavorare qui a sei mesi dalla mia laurea in lingue nel 2001 e, ahimé, non ho più smesso. Non che la cosa sia tragica come potrebbe sembrare. Non è detto che il lavoro di assistente telefonica, operatrice di call center, help desk specialist (è divertente quante perifrasi utilizziamo i miei colleghi e io quando ci chiedono che lavoro facciamo) sia degradante o poco gratificante. Penso sempre che la gente dovrebbe, per legge, fare per una settimana almeno il lavoro degli altri prima di giudicarlo in un modo qualsiasi.
Veniamo al dunque: prima di «fallire», Alitalia si è scordata di pagare alla mia azienda 2.800.000 euro per i servizi resi negli ultimi mesi. Inoltre, il 40% di Alicos che era di proprietà di AZ, è stato messo in vendita da Fantozzi al miglior offerente. Pochi giorni fa l'azienda ci ha informato che, a causa della sua capacità economica ridotta, non ci saranno per il momento corrisposti gli stipendi di febbraio. 1.300 persone, 1.300 famiglie a Palermo senza stipendio. Hanno certo un peso specifico inferiore rispetto ai cassintegrati Alitalia (a cui vengono garantiti ammortizzatori sociali mai avuti da nessun altro lavoratore a fronte della perdita del proprio lavoro). Nessuno ne parla. 1.300 giovani palermitani che non sanno cosa ne sarà di loro nel prossimo futuro non fanno rumore.

Barbara Muratore , barbara.muratore@gmail.com

venerdì 13 marzo 2009

Lettera alla signora Biagi - Luc@


Signora Biagi mi chiamo Luca, ho 30 anni e sono un lavoratore attualmente
"precario", da tempo seguo il tema “lavoro e precarietà”.
Mi permetto di scriverle da Milano (la "grande" Milano... quella che un tempo era chiamata la "capitale morale ed economica del paese) dopo aver letto questa mattina un articolo sul Corriere della Sera, che le riporto in calce a questa lettera,
nel quale era riportata una frase attribuita a suo marito (da lei pronunciata durante un incontro),a seguito delle minacce ricevute poco prima del tragico attentato.

La frase era: "Eppure non posso smettere. No, proprio ora che mi trovo al momento giusto e nel posto giusto per riuscire a fare qualcosa che aiuti i disabili, le donne e chi perde il lavoro a 40 anni... No, non posso smettere".


Signora questa frase mi ha davvero colpito, perché, mi perdoni, non avevo finora capito lo spirito di suo marito.

Per anni ho pensato che quella che chiamiamo "legge Biagi" non fosse la legge che davvero avrebbe voluto suo marito.
Dopo aver letto questa sua dichiarazione, signora Biagi, ne sono ancora più convinto !

Per me, per i milioni di precari che ci sono nel paese, vorrei che mi/ci dicesse cosa pensa di quella che attualmente è chiamata "legge Biagi".

Non posso credere che la legge così com’è oggi e che porta il nome di suo marito è la somma del pensiero di Marco Biagi, una legge che non fa sentire noi precari allo stesso livello dei nostri colleghi assunti a tempo indeterminato, permette alle aziende di tenere una persona a progetto per anni risparmiando su contributi e permette loro di versare un misero obolo all'ente di previdenza, non prevede adeguati ammortizzatori sociali, non ci garantisce un futuro e serenità, non garantisce i ragazzi che effettuano degli stages.

La legge così com’è è incompleta.

Secondo il mio modesto parere, signora, non c'è però la volontà di cambiarla, di modificarla, di migliorarla, è diventata praticamente intoccabile.

Dal punto di vista giudiziario è stata fatta giustizia per Marco Biagi, anche se
nessuna sentenza potrà colmare il vuoto dovuto alla perdita di suo marito.

Però vorrei che il la legge che porta il nome di suo marito fosse amata dai giovani, che rispecchi le nostre speranze e i nostri diritti.

Signora mi creda, oggi non è così, molti ragazzi oggi non stimano Marco Biagi,
al contrario, gli addossano colpe e lacune che probabilmente non sono nemmeno sue.

Dal punto di visto legislativo vi sono milioni di persone che attendono delle risposte, delle sicurezze sul proprio futuro, risposte che non arrivano da nessuna parte.
E di certo queste risposte non arriveranno dal Professor Tiraboschi, direttore del Centro Studi Marco Biagi e presidente di ADAPT, il quale, avendo letto le sue dichiarazioni e avendo assistito ad un suo recente intervento, mi chiedo se sia dalla "nostra" parte o più da quella di Confindustria (per citare un’organizzazione vicina alle imprese e non ai lavoratori).

Spero che mi, e ci, possa illuminare a riguardo.

Qualora dovessi o potessi passare per Bologna mi farebbe piacere incontrarla.

Con profonda stima

Cordiali saluti

Luca



La vedova Biagi: io, Marco e la lotta per i disoccupati

«La sera prima mi disse: non posso smettere»

Dopo 7 anni di silenzio la vedova di Marco Biagi parla del marito nell'aula del consiglio comunale di San Lazzaro di Savena

DAL NOSTRO INVIATO

BOLOGNA — Le prime parole in pubblico. Dopo sette anni. Un
ricordo privato. Lui preoccupato per quella scorta che il ministero gli aveva
tolto. Lei che lo incoraggia a tenere duro. Lui che la guarda, le dà ragione,
mai immaginando che solo 24 ore dopo sarebbe morto sotto i colpi di un commando di brigatisti rossi. La tragedia di Marco Biagi, giuslavorista e consulente di vari ministri (l'ultimo fu Roberto Maroni), padre del Libro Bianco e tra gli autori del Patto sul Lavoro, trucidato dalle Brigate rosse il 19 marzo del 2002 all'età di 51 anni, si è materializzata ieri sera nell'aula di un piccolo consiglio comunale alle porte di Bologna, San Lazzaro di Savena.

All'improvviso, sfuggendo a qualsiasi copione, la vedova Marina Orlandi ha
ricordato uno degli ultimi episodi della vita del marito e, forse, della loro
stessa vita matrimoniale. Era il 18 marzo 2002. Marco Biagi, come tutti i
giorni, era rientrato a Bologna, nella casa di via Valdonica 14, nell'ex ghetto
ebraico, poco lontano dalle Due Torri, dopo essere sceso dal treno che lo
riportava da Modena, dove insegnava all'Università, e dopo aver percorso in
sella alla sua bicicletta vicoli e portici del centro storico. Non sapeva che
occhi nemici lo controllavano da tempo. Non sapeva che la sua sorte era
segnata. Era un uomo turbato. Che aveva ricevuto minacce. Si occupava di
lavoro, di precariato: temi delicatissimi, potenzialmente mortali, come aveva
tragicamente confermato l'omicidio di Massimo D'Antona, anche lui consulente di governo.

Eppure a Biagi, in un terribile mix di ottusità burocratica e
negligenze amministrative, era stata tolta la scorta. «Quella sera— ha
ricordato ieri Marina Orlandi nel silenzio quasi solido dell'aula consiliare —
Marco mi riferì la sua preoccupazione e la sua amarezza per il fatto di non
aver più alcuna difesa. Eppure, disse, tratto questioni cruciali».

Fonte Corriere della Sera

giovedì 5 marzo 2009

Lettera 993 - lettera

Intervento n° 993
Sesso F
Età 31-35 anni
Professione Impiegato
Tipo di contratto Dipendente a termine/a progetto/altro
Settore Editoria
CittàPI
La storia:
Il mio progetto era diventare donna. Donna. Adulta. Matura. Indipendente. Compagna. Moglie. Madre. Libera. Un progetto non ambizioso. Non sono mai stata ambiziosa. Quello che volevo io era una vita. Quella per cui i miei nonni hanno lottato, quella che i miei genitori hanno rivendicato, quella che a me oggi si nega. Sono un progetto, con una scadenza, un termine. Sono una sigla cacofonica. Sono una prestazione occasionale. Sono part-time. Sono sola. Ce l’ho messa tutta. Non mi sono mai tirata indietro. Spesso ho ingoiato la mia dignità, sono scesa a patti con le mie idee, ho perso di vista i miei diritti, ho sacrificato il mio privato, ho perso di vista me stessa e chi mi stava accanto. Avevo un progetto, ma non potevo progettare niente. Avevo tanti progetti, ma non avevo il futuro. Il futuro mi è stato negato. Ora ho solo il presente. Ho me stessa. Ho voglia di farcela, di conquistare un piccolo spazio per me. Ho voglia di pensare a un domani non troppo lontano, perché i sogni a lungo termine non mi sono concessi. Ho voglia di vivere. Allora riparto da un progetto, un progetto mio, un progetto piccolo, misurato, sobrio, pudico. Voglio essere una persona. Voglio essere donna. Senza un termine. Senza una scadenza. Il termine me lo può dare solo la vita. Tutto quello che sta nel mezzo, è di mia competenza.

Fonte: http://racconta.repubblica.it/mappa_licenziamenti_in_italia/risultatitotali.php