martedì 28 settembre 2010

Precari, ecco perché non dovete mollare - Luc@ 100° post

Post pubblicato sul blog Italians di oggi, martedì 28 settembre.

Caro Beppe,
in occasione della pubblicazione di una tua recente raccolta mi è capitato di rileggere la tua frase «quando succederà sarà bellissimo». Queste parole mi hanno accompagnato per tutto il mese di agosto.
Nelle mie lettere e sul mio blog ho spesso trattato il tema del precariato, arrivando quasi a non poter immaginare un futuro sereno. Ora Beppe posso dire di avercela fatta: a 32 anni, dopo dodici anni di precariato ho ottenuto un posto fisso. E quando, per l'appunto succede, è bellissimo. Mi è costato tempo e pazienza: ore spese a leggere inserzioni, spulciare annunci, inviare curriculum e affrontare colloqui per poi approdare, finalmente, a un opportunità di lavoro a tempo indeterminato. Per la prima volta, dopo innumerevoli contratti a progetto, ho visto una lettera d'intenti, mi verrà corrisposta una tredicesima e una quattordicesima, potrò magari pensare a dei progetti a lunga durata. C'è voluta tanta tenacia, altrettanta voglia di lottare ma finalmente l'occasione giusta è arrivata. Se si riesce ad essere coraggiosi e ambiziosi prima o poi l'occasione, se non per tutti, per la maggior parte può arrivare, non credi?
È giusto però dover procedere in questo modo? Cercare, cambiare fino a quando non arriva l'occasione giusta? Possibile che nessuno ci voglia mai tutelare? Una cosa è certa: non auguro a nessuno di ripercorrere il mio calvario fatto di aspettative, tensioni, paure. In dodici anni di lavoro sono venuto a contatto con tanti mondi e tante realtà, incontrando anche persone splendide e facendo tesoro delle esperienze. Spesso non capivo (o non volevo capire) con quale criterio venivano fatte certe assunzioni e vedevo le persone passarmi davanti senza logica. In quante aziende domina la logica del «tutti sono utili e nessuno è indispensabile»? Ora tutto questo è alle spalle.
Chissà che queste righe non possano essere di buon auspicio per qualcuno dei tanti nella mia condizione ai quali mi sento di dare un consiglio: non mollate.
Luca

giovedì 22 luglio 2010

Mi sento una dei vinti di Verga - post dalla rete

Ciao Beppe (Severgnini ndr),
ho aiutato un'amica a preparare una tesina bellissima per la maturità: la condizione femminile a cavallo tra Ottocanto e Novecento. Abbiamo ragionato sui personaggi femminili di Verga, il movimento delle suffragette, le stiratrici dei dipinti di Degas, la tragedia della Triangle Waist Company e l'errato collegamento alla festa della donna. Un lavoro di ricerca appassionante.
Dopo due lauree in lettere con 110 e lode e un premio di laurea; dopo essere stata considerata una dei 600 migliori neo-laureati dal ministero della Gioventù, selezionata per il Global Village Campus (di tutto l'incenso cosparso sui nostri capi è rimasto solo il fumo); dopo un anno e mezzo trascorso fra tirocini non retribuiti e colloqui inconcludenti con aziende prestigiose, oggi finalmente una piccola-media impresa mi propone un contratto di apprendistato nell'ambito del «Contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti all’industria della gomma cavi elettrici e affini e all’industria delle materie plastiche». Area commerciale e logistica, inquadramento nel livello H corrispondente alla posizione di CARRELLISTA.
Con tutto il rispetto per la categoria, leggendone il testo sono scoppiata a piangere, sopraffatta da un bruciante senso di sconfitta. Mi sento una dei vinti di Verga, travolta dalla fiumana di una crisi che fa annaspare troppi giovani in gamba e volenterosi come me (scusa l'immodestia, ma è per tirare su il morale). Inutile sperare di trovare impiego in una casa editrice, come mi piacerebbe davvero? Non riesco a rassegnarmi del tutto. Però per ora la letteratura è solo un «vizio» privato.

Chiara De Leonardis
fonte: blog Italians

mercoledì 14 luglio 2010

Parcoursatypique.com - articolo



Il sito francese parcoursatypique.com favorisce le persone in cerca di un impiego, la cui esperienza personale esce dall’ordinario.

L’arma vincente è la combinazione tra lo stile di comportamento caratterizzato da affabilità e la capacità di destreggiarsi in ogni evenienza, adattandosi a diverse situazioni e a diversi tipi di interlocutore. In due parole “savoir-faire” e “savoir-être”. Thomas Grimaux, fondatore del sito internet, preferisce “rendere la ricerca di un impiego maggiormente incentrata sulle competenze umane”. Detto in altri termini, intende favorire “l’aspetto qualitativo”.

L’imprenditore del Net ha avuto l’idea di creare questo spazio dopo una serie di insuccessi durante la sua ricerca di un lavoro. Secondo la sua esperienza, i Curriculum Vitae non consentono ai responsabili delle assunzioni di farsi esattamente un’idea della personalità dei candidati, e non dovrebbero comunque essere il solo elemento di selezione.

Thomas Grimaux è certo che “un percorso non lineare non è sempre sinonimo di un handicap, e può essere inteso come un vantaggio per l’addetto all’ufficio delle risorse umane. Una persona che è sopravvissuta ad un cancro ha sviluppato maggiori capacità di resistenza allo stress. Una donna che ha appena terminato il suo congedo per maternità è più motivata nella ripresa del lavoro.” Preoccupati di ridurre i rischi di discriminazione nei confronti dei candidati, questi sono invitati a restare nell’anonimato.

Privilegiare gli aspetti qualitativi

Parcourstypique.com si vede anche protagonista nella creazione del concetto di coefficienti. Al momento dell’iscrizione, il candidato deve inserire in una scala gerarchica le qualità che intende fare notare nella propria personalità. La scelta si snoda in sei campi ben distinti: percorso e diploma, qualità umane e professionali, attuale posizione ricoperta, settore richiesto, lingue straniere parlate e conoscenze informatiche.

Dopo questa tappa, le principali caratteristiche del candidato appaiono in evidenza in una serie di parole chiave direttamente sulla pagina del profilo professionale. I principali obiettivi del sito restano l’originalità e la capacità di sapersi distinguere.

Anche se l’utilizzo del sito potrebbe apparire difficoltoso, oltre al fatto che sarebbe ancora tempestivo cercare di valutare i risultati del numero di assunzioni andate a buon fine, parcourstypique.com resta sicuramente tra le iniziative più utili per cercare di cambiare la mentalità e i modi di reclutamento del personale.

Fonti: ilDemocratico.com e La Croix, di Stéphanie Bitan

mercoledì 7 luglio 2010

Giovani carini e precari : i nuovi stereotipi da cinema - articolo dalla rete


Dalla generazione Mtv a quella dei 1000 euro

Chi si ricorda di Giovani carini e disoccupati? Nel 1994, poco meno di due decenni fa, Ben Stiller esordiva dietro la macchina da presa per fotografare la cosiddetta generazione Mtv con un pizzico di cinismo e una buona dose di romanticismo. La commedia che vedeva duettare con disinvoltura e credibilità Winona Ryder ed Ethan Hawke raccontava le sorti di un gruppo di neolaureati alle prese con tutta una serie di problemi – economici, d'amore, esistenziali. Intorno alla coppia protagonista, vittima d'incomprensioni e frustrazioni, ruotavano personaggi minori ma non meno incisivi che rappresentavano le varie sfaccettature della precarietà giovanile. Nell'era del grunge La realtà morde – traduzione del titolo originale del film di Ben Stiller – faceva da apripista a un cinema attento alle problematiche dei neolaureati utilizzando un linguaggio comprensibile, situazioni in cui era possibile immedesimarsi e una colonna sonora azzeccata. Anche in Italia si è dato spazio al tema del precariato con film come Santa Maradona, Tutta la vita davanti e Generazione mille euro, commedie capaci nel loro piccolo di raccontare una realtà mordente con la leggerezza intrinseca del genere.

Giovani carini e innamorati
Sedici anni dopo l'uscita di Giovani carini e disoccupati la disegnatrice, animatrice e regista Vicky Jenson (Shrek, Shark Tale) ripropone il modello del film di Stiller per raccontare la storia di Ryden Malby, giovane neolaureata con il sogno di diventare editor. Estremamente leggero nell'affrontare l'argomento della precarietà e più interessato a spingere l'acceleratore verso un happy ending romantico, Laureata... e adesso? è una commedia d'amore che sfrutta il limbo post-laurea e l'ansia di trovare un lavoro per semplici scopi narrativi. D'altronde Vicky Jenson ha deciso di dirigere il film perché ispirata dal messaggio, ossia "avere un obiettivo nella vita è grandioso, ma non bisogna mai lasciare che ci faccia mettere da parte la famiglia e gli affetti".

Dalla laurea all'amore
Parte del divertimento di Laureata... e adesso? è dato dalla semi-disfunzionalità della famiglia Malby. Nell'universo di Ryden (Alexis Bledel) si muovono rumorosamente Hunter (Bobby Coleman), il fratellino che ama leccare la testa dei suoi compagni di scuola, l'ipocondriaca nonna Maureen (Carol Burnett), la madre Carmella (la star di Glee, Jane Lynch) e il bizzarro papà Walter (un Michael Keaton in vena di gag). Quanto all'amore, invece, quello è rappresentato dall'amico d'infanzia Adam (Zach Gilford), neolaureato indeciso se intraprendere la carriera di musicista o di avvocato, che quando canta dal palco di un locale una canzone dedicata a lei ricorda tanto l'Ethan Hawke arrabbiato e disilluso di Giovani carini e disoccupati.

Fonti: Corriere.it e Mymovies.it

Disoccupazione : record storico e agli ultimi posti per i salari - articolo da Repubblica.it


PARIGI - "Senza lavoro l'8,7%: a fine 2007 il livello era al minimo da 28 anni, al 5,8%. La busta paga media a 31.462 euro contro i 37.172 della media Ocse. Nell'area 80 milioni di persone in difficoltà.Partito dal livello minimo in 28 anni del 5,8% a fine 2007, il tasso di disoccupazione nell'area Ocse è cresciuto fino al punto massimo del dopoguerra, l'8,7%, nel primo trimestre 2010, che corrisponde a 17 milioni di persone disoccupate in più". Lo afferma l'Employment outlook 2010 dell'Ocse, presentato oggi a Parigi, che sottolinea poi come questo calo del tasso di occupati sia stato di intensità differente nei vari Paesi membri, in un modo che "le differenze nella diminuzione del Pil lasciano in gran parte inspiegato".

Nel documento si ribadisce anche come i salari italiani siano agli ultimi posti tra quelli dei paesi avanzati. Nel 2008 si attestano in media a 31.462 euro (-0,1% rispetto al 2007), contro i 37.172 euro dei paesi Ocse (+0,1%) e i 37.677 dei paesi Ue (+0,5%). Dietro di noi solo Polonia (11.786 euro), Ungheria (12.462) Repubblica Ceca (13.613), Corea (20.838), Grecia (25.177) e Spagna (28.821). Nettamente meglio Stati Uniti (40.243 euro), Francia (39.241) e Germania(37.203)

"I paesi Ocse devono creare 17 milioni di nuovi posti di lavoro per tornare ai livelli precedenti la crisi, ha detto il segretario generale dell'organizzazione Angel Gurrìa. "Rudirre insieme la disoccupazione e i deficit pubblici è una sfida molto difficile, ma antrambe le cose sono necessarie. Nonostante i segni di ripresa nella maggior parte dei paesi, rimane il rischio che milioni di persone perdano contatto con il mondo del lavoro. L'alta disoccupazione non può essere accettata come una nuova normalità e bisogna adottare una strategia politica di integrazione".

Il "job gap", ha proseguito Gurrìa, varia a seconda dei paesi. Gli Stati Uniti hanno bisogno di creare 10 milioni di nuovi posti, nella piccola Irlanda ne bastano 318.000, ma è un aumento del 20%; in Spagna mancano due milioni e mezzo di posti per tornare ai livelli pre-crisi di fine 2007.

Nel complesso dell'area Ocse i disoccupati sono oggi 47 milioni. Ma aggiungendo le persone che hanno smesso di cercare lavoro o sono a part-time e vorrebbero un impiego a tempo pieno, cioè i sotto-occupati, si arriva alla stratosferica cifra di 80 milioni.

In queste condizioni, ha concluso Gurrìa, i governi devono attentamente bilanciare le politiche di consolidamento fiscale e quelle, che devono essere perseguite contemporaneamente, di aiuto alle persone in stato di necessità, che sono soprattutto i giovani e disoccupati di lungo termine. Mantenere supporti effettivi per queste categorie è "vitale" e i goversni devono resistere alla tentazione di tagliare gli aiuti e ridurre i fondi dei servizi per il reimpiego allo scopo di risparmiare nel breve termine.

E cosa succederà in Italia? L'impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano è stato fino a oggi moderato rispetto a molti altri paesi Ocse. Tuttavia, il Rapporto sull'occupazione suggerisce un peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro nell'ultimo anno. A maggio, il tasso di disoccupazione ha raggiunto l'8,7% in Italia, vale a dire un incremento di due punti percentuali dall'inizio della crisi, inferiore alla crescita media degli alti paesi nello stesso periodo (2,8 punti percentuali). Inoltre la ripresa dell'attività economica non porterà probabilmente a una creazione significativa di occupazione nel breve periodo: infatti, le proiezioni Ocse suggeriscono che la disoccupazione rimarrà pressoché costante sino alla fine del 2011.

La principale risposta del governo italiano alla crisi occupazionale è stata il sostegno ai redditi dei lavoratori non aventi diritto a un sussidio di disoccupazione ed, in particolare, il maggior ricorso alla cassa integrazione (Cig). Nella fase di ripresa economica è però essenziale creare incentivi adeguati alle imprese ad assumere lavoratori e quindi ridurre la disoccupazione. Il Rapporto suggerisce che, da un punto di vista internazionale, l'Italia è tuttora caratterizzata da un ordinamento del mercato del lavoro piuttosto rigido e da una mobilità del lavoro limitata. Per promuovere la produttività e una più ampia creazione di posti di lavoro, sarebbe necessaria una riforma dei contratti di lavoro, tale da rendere più efficace la riallocazione dei lavoratori nella fase di ripresa. Tuttavia, una tale strategia di riforma potrebbe generare una maggiore mobilità subita per alcuni lavoratori con contratti permanenti e si dovrebbe quindi coniugare con ulteriori sforzi nelle politiche del welfare volti a rafforzare il sostegno di reddito per i disoccupati, anche se condizionato alla disponibilità ad accettare offerte di lavoro, accompagnato da un efficace sostegno al re-impiego e compatibilmente con la necessità di preservare la sostenibilità dei conti pubblici.

fonte: Repubblica.it

lunedì 5 luglio 2010

Dopo l’invio del CV, telefonate. - post dalla rete



Pubblico la lettera del signor Ponzone,

il quale suggerisce dal Blog di Beppe Severgnini a tutti coloro che inviano un curriculum vitae di telefonare in azienda.

E' un suggerimento che non avevo mai preso in considerazione,
però provare non costa nulla vero? Potrebbe funzionare!
Dopo l’invio del CV, telefonate.



Caro Beppe, vivo da 15 anni a Londra e non solo ho assunto molte persone, ma ho anche cercato lavoro in vari periodi del mio percorso professionale. Concordo pienamente sulla difficoltà di trovare lavoro in Italia (senza raccomandazione) e della mancanza di professionalità delle aziende italiane nel rispondere a qualsiasi forma di contatto esterno.
Ma visto che sono cose che sappiamo bene, il toro va preso per le corna: inviare un CV senza fare una telefonata qualche giorno dopo per seguirlo ed assicurarsi che sia stato ricevuto dalla persona giusta, equivale a cestinarlo.
Un CV va sempre inviato ad una persona specifica, idealmente quella con cui si vuole lavorare e questa va individuata con precisione (usate centralino, segretarie, Google, sito web, amici, concorrenti - chi cerca trova). Inviare un CV ad un'azienda senza un nominativo è inutile - lo stesso vale per l'invio al reparto risorse umane, che al massimo smista i CV per i reparti interessati all'assunzione. L'assunzione viene decisa dalla persona per la quale si andrà a lavorare, non dalle risorse umane. E se si vuole ottenere un colloquio, la telefonata è essenziale. Questo insegna l'esperienza in UK. In quanto al ritornare in Italia dopo aver ottenuto un livello manageriale... credo che un'azienda italiana si spaventi un po’, poco abituata alla meritocrazia, poco adatta ad accettare un manager molto giovane rispetto agli standard italiani e con metodi troppo diversi (all'estero ci sarete arrivati prima!) - si teme di scuotere troppo il comodo equilibrio aziendale. Per cui si sceglierà in loco un candidato più malleabile, più facilmente inseribile. Il vantaggio dell'estero rimane spesso sulla carta, ahimé.

Enrico Ponzone

Lavoro e precari. Rubrica su "il Fatto quotidiano"








Vi segnalo la rubrica "lavoro e precari" del quotidiano "il Fatto quotidiano":

http://www.ilfattoquotidiano.it/category/lavoro-precari/


Potete trovarci notizie interessanti e spunti per riflessioni.

Luc@

giovedì 1 luglio 2010

Moriremo tutti precari ? - Luc@



Il tema bamboccioni-giovani- precari sta acquisendo nuovamente spazio in queste settimane su diverse testate.
Mi ha colpito la lettera della neomamma Vera Brieda nella rubrica di Unberto Galimberti sul settimanale "D" di Repubblica che ha lasciato il suo lavoro nel Nord-Est d'Italia.Mi auguro che possa aver trovato il futuro che cercava.

Vera si è preoccupata per "noi" ragazzi e ha voluto evidenziare come sempre più nella società lavorativa (e non) di oggi sembriamo essere "tutti utili ma nessuno indispensabile". Si preoccupa, giustamente, per il futuro di sua figlia.
Galimberti nel risponderle ritorna sull'argomento sottolineando il clima di deriva sociale e culturale nella quale sonno immersi i giovani di oggi.
Sempre più spesso costretti a ragionare secondo la logica del "prendere o lasciare" e visti come "coloro che potenzialmente possono erodere le ricchezze dei propri genitori" circondati dalla più totale indifferenza di chi ci governa.
Sembra proprio che chi dovrebbe legiferare per tutelarci non sappia guardare oltre il proprio palmo di naso e soprattutto oltre la propria generazione (al massimo rivolgono qualche attenzione alla propria dinastia: conoscete un figlio di un politico disoccupato o precario ?).
Diversi interrogativi se li pone anche Marina Terragni in un suo articolo apparso sabato 26 giugno sull'inserto "IO donna" del Corriere della Sera dal titolo "Ma chi ha spento la rabbia dei giovani ?". La giornalista ci ricorda che siamo stati viziati, coccolati e non ci è stato mai fatto mancare nulla (davvero) però ora ci dimostriamo rassegnati, apatici e soprattutto non "attrezzati alla lotta". Non siamo capaci di far sentire le nostre voci, se non forse nei casi più disperati.
Di certo non possiamo contare sull'apporto delle persone più anziane: stanno zitte!
Fatta eccezione per qualche genitore che si sta iniziando a porre qualche domanda. Si veda la lettera di Rosanna Falanca sul Corriere di martedì 29 giugno

(http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/10_Giugno_29/Diritti-precari_1cdb2a58-833f-11df-aec8-00144f02aabe.shtml).



I sindacati latitano (si spera nel cambio di rotta della Cgil ad opera della Camusso come accennato nel mio precedente post del 29 giugno).



Pungente la proposta di oggi sul blog Italians di Diego Mammino di un mega sciopero dei precari : peccato non sia abbia il coraggio o la forza di farlo.
Trovate la lettera a questo link: http://www.corriere.it/italians/10_giugno_30/Scioperino-a-tempo-indeterminato-tutti-gli-stagisti-e-i-precari_80be2462-8385-11df-aec8-00144f02aabe.shtml



Non volevo parafrasare Fini (che disse "moriremo tutti leghisti ?" in occasione dell'ultimo risultato elettorale della Lega) ma con l'attuale andazzo mi viene spontaneo scrivere "moriremo tutti precari ?"
No, vero ?!

Contributi e spunti da “D” di Repubblica, Io Donna Lettere al Corriere della Sera ed Italians.

mercoledì 30 giugno 2010

Lavoro a Milano: qualcuno assume ? - intervento su forum Vivimilano



Riporto gli interventi della discussione da me postata sul blog di Vivimilano lunedì 28 giugno.

Lavoro a Milano: qualcuno assume?

Buon pomeriggio a tutti. Volevo chiedervi un parere, premesso che sappiamo tutti che è un momento difficilissimo dal punto di vista lavorativo, ma desideravo comunque provare a sollevare la questione "lavoro" (l'ho già fatto in passato ma è anche un modo per tastare il terreno).
Il sottoscritto a 31 anni ha la fortuna, anche se con l'ennesimo contratto a progetto, di avere un'occupazione in abito tecnico-informatico.
Nel cercare un impiego più stabile (ma esiste ancora?) sabato ho quasi buttato via una giornata in una sala riunioni di un hotel dove un gruppo di individui cercava di convincermi a vendere degli impianti fotovoltaici (settore molto interessante a dire il vero) proponendomi provvigioni ridicole e di pagarmi i loro corsi di formazione man mano che avrei proseguito la carriera in azienda (e per fortuna che il lavoratore è al centro della loro azienda).
A parte offerte commerciali (se vendi ti pago, altrimenti nulla) quali sono le vostre esperienze? Capita sempre più spesso di inviare curriculum e di non ottenere risposta.
Le posizioni a "progetto", "partita iva" e "agenti" predominano il mercato...
Siamo destinati a rimanere precari a vita ?

Inviato da: Ela il Lunedì, 28 Giugno 2010

si

Inviato da: silvi50 il Lunedì, 28 Giugno 2010

moriremo precari, precariamente sepolti!

Inviato da: Coetaneo il Lunedì, 28 Giugno 2010

"improvvisare, adattarsi, raggiungere lo scopo!" diceva Gunny Highway. I tempi sono incerti e la soluzione te la devi trovare con le tue forze. Forza ragazzo!


Inviato da: pongo il Lunedì, 28 Giugno 2010

assolutamente si, solo che il termine precario sarà stato abolito e si dirà invece "morire flessibile ( e ringrazia il cielo che ti ho fatto lavorare per un pugno di fagioli)"


Inviato da: Frodo il Lunedì, 28 Giugno 2010

Molto dura, soprattutto nel settore che ti sei scelto.
Di annunci ne trovi a iosa, ma si tratta sempre si contratti a progetto.
Poi poco conta se in realtà non esiste nessun progetto e svolgi l'attività tipica di un dipendente, con annessi e connessi.
L'informatica poi, tutti sono informatici.
Nella mia carriera ho lavorato con informatici che fino a poco prima facevano i maniscalchi, i macellai, comparse in film hard, gli idraulici, i panettieri.
Qualcuno di questi era bravo, ma è indice di quale serietà c'è nel settore.
Ogni tanto spunta qualche azienda che assume, ma quasi tutte anche per profili con esperienza passano dall'interinale, costringendo chi ancora ha un contratto indeterminato a fare il salto nel vuoto con la promessa che dopo due mesi ci sarebbe la possibilità d'assunzione.


Inviato da: obiettivo il Lunedì, 28 Giugno 2010

I contratti a tempo indeterminato sono sempre piú rari, ancora prima é complicato anche cambiare lavoro, e quando é possibile cambiare ció accade piú per passaparola o conoscenze che per il fatto di aver inviato un cv.
Re: Lavoro a Milano: qualcuno assume?

Inviato da: AndreaS il Martedì, 29 Giugno 2010

So già che sarò sommerso di insulti: ma purtroppo è altrettanto vero che oggi è molto molto difficile trovare qualcuno che abbia voglia di lavorare, voglia di impegnarsi. Qualcuno che non consideri il lavoro e l'azienda che lo assume solamente come un qualcosa da "sfruttare".
Forse sono sfortunato, ma io continuo a vedere sempre più persone che sono concentrate solo a trovare il modo migliore per passare il tempo sul lavoro con l'obiettivo principale di portare a casa lo stipendio facendo il meno possibile e assumendosi meno responsabilità possibili.


Inviato da: JB il Martedì, 29 Giugno 2010

Tra qualche ora consegnerò la lettera di dimissioni. Lascio un lavoro a tempo indeterminato per un co co pro.
Call me stupid. :-D


Inviato da: Wolf il Martedì, 29 Giugno 2010

Concordo con AndreaS: poca voglia di lavorare in giro.


Inviato da: Gianmarco il Martedì, 29 Giugno 2010

Un po' di lavoro c'è sempre. Se ti accontenti di guadagnare tra €3 / €5 all'ora, garantendo massima disponibilità giornaliera, del tipo lavori 2 ore in una parte di Milano, e poi magari 3 dalla parte opposta. Se non ti dispiace passare le notti, i weekend ed i festivi al lavoro invece che con la tua famiglia. Se vuoi regalare tempo in piu' al lavoro perché tanto te lo dicono al colloquio che gli straordinari li farai ma non verranno pagati, ma solo segnati come tempo libero da usufruire nel futuro (forse). Se non ti va di mangiare come gli altri perché tanto la pausa pranzo non esiste ed il buono pasto te lo sogni. Se ti va fare lavori che in alcuni casi ti faranno sorgere la domanda:"Ma che c... di lavoro è?" Se ti va di essere piallato ad ogni scadenza di contratto senza vedere mai lo stipendio salire e di cambiare mille volte azienda pur essendo sempre la stessa rigeneratasi sotto altra forma. Se ti va tutto questo allora il lavoro c'è. Saluti


Inviato da: bd il Martedì, 29 Giugno 2010

Quello che dice AndreaS è un'altra delle conseguenze della legge Biagi-Maroni. Perchè lavorare se ci sono altri che sono chiamati apposta per farlo? E così il posto fisso si è trasformato in un salarificio. Mentre la proletarizzazione dei precari peggiora di mese in mese!


Inviato da: Chobin73 il Martedì, 29 Giugno 2010

Il settore ICT in Italia è talmente poco sviluppato che una persona veramente dotata di competenze, con un discreto bagaglio esperienziale ed un minimo di capacità di gestione aziendale è in grado di mettere in piedi la sua aziendina di servizi IT. Bisogna solo mettersi nell'ordine di idee che i grossi centri elaborazione dati aziendali dove trovare lavoro a tempo indeterminato saranno sempre meno diffusi e le professionalità che verranno più richieste saranno di tipo organizzativo/progettuale/manageriale.
Ergo: passare meno tempo a pigiare tasti e passarne di più a ragionare sui processi aziendali e la loro automazione.


Inviato da: Ortica il Martedì, 29 Giugno 2010

Eh si AndreaS,
anche io non mi capacito del perchè la gente non sbavi per un posto di lavoro di 3 mesi + eventuali rinnovi, ma solo se mi fai dello straordinario gratuito e tenendo conto che alle ferie non ne hai diritto. Ma quali ferie fannullone, la dedizione al lavoro innanzitutto.
Si si, è il dipendente che considera l'azienda da sfruttare.
Ma poi queste larve umane che insistono nel voler essere pagate per assumersi responsabilità che il più delle volte vanno al di la delle loro competenze.
Eh, ma c'è la crisi, bisogna tirare la cinghia...sulla schiena dei dipendenti, che lavorino un po' di più che altrimenti li mettiamo in cassa integrazione, ma solo quelli che non mi vogliono comunque venire lo stesso a lavorare in nero, come sguatteri sul mio yacht.


Inviato da: AndreaS il Martedì, 29 Giugno 2010

@Ortica
Generalizzare è sempre pericoloso e mi rendo conto di averlo fatto io per primo, ma non bisogna confondere le grandi realtà che usano e abusano strumenti quali la cassa integrazione, oppure che si "dilettano" in cessioni di rami d'azienda, oppure ancora in delocalizzazioni con le piccole aziende.
Esistono centinaia (e alcune decine le conosco personalmente) di piccole aziende nelle quali spesso i titolari non solo non hanno barche / ville ... ecc, ma sono i primi a rinunciare allo stipendio per poter continuare a pagare i propri dipendenti.
Peccato che siano le stesse aziende che si aspetterebbero da parte dei dipendenti non che questi vogliano farsi sfruttare, ma semplicemente che vogliano lavorare, che abbiano un minimo di iniziativa e di senso di responsabilità, invece non appena il "sciur padrone" volta le spalle ... beh ogni scusa è buona per farsi i fatti propri se non peggio


Inviato da: bd il Martedì, 29 Giugno 2010

AndreaS i casi che evidenzi tu sono particolari, lo riconosco. Ma bisogna anche capire che un 30enne che per un anno sente il fallimento sul collo, che conosce a menadito la situazione dell'aziendina in cui lavora e la fine che farà, se la sera non piange per il titolare ma al limite per il suo di destino...io non lo condanno.
L'abnegazione è una gran cosa, da una parte va data, ma dall'altra va anche giustificata. Quando tutto crolla, e nessuno ci crede più...è dura. E la crisi della piccola impresa è datata forse addirittura 2005. Pare chiaro che non ne usciremo in questo mondo.


Inviato da: Ortica il Martedì, 29 Giugno 2010

AndreaS, non metto in dubbio che esistano realtà simili, ma non sono certo molte.
insomma, tutti questi benefattori in giro io non li vedo.
Se possono permettersi di non percepire lo stipendio per qualche tempo non stanno poi così male, io se non lo prendessi non dico "qualche", ma anche "un" solo mese sarei già a rischio povertà, del tipo carrello del supermercato con i vestiti dentro.
Comunque è vero che c'è un'attenzione ed un attaccamento diverso verso l'azienda che ti stipendia diverso da prima.
Anche adesso ad esempio, mentre scrivo questo, sto ricevendo lo stipendio. Ma il lavoro che faccio ha dei tempi morti e me lo permette, in compenso sono reperibile quasi sempre a gratis a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Non so proprio chi ci guadagna.


Inviato da: martina il Martedì, 29 Giugno 2010

io non ho mai sfruttato il mio datore di lavoro,purtroppo è sempre successo il contrario.


Inviato da: Leo55 il Martedì, 29 Giugno 2010

Credo di essere sempre stato un precario, ho sempre lavorato in proprio come artigiano; ho sempre pagato le tasse, tutte, infatti non mi sono arricchito, talvolta il lavoro bisognava cercarselo, col passaparola e piccole pubblicità, per anni non mi sono concesso le "ferie" così come le si conoscono dai media; ho provato ad assumere ragazzi per insegnargli il mestiere e per allargare il mio giro, dopo tre mesi cominciavano le assenze e poi smettevano, non ho mai chiesto loro più delle 8 ore per 5 giorni alla settimana e lo stipendio era quello previsto dai cc.nn. pubblicati in Camera di Commercio.
Che dire, da precario ho fatto studiare i figli e gli ho pagato il viaggio di andata dopo la laurea, le mie rinunce mi hanno ripagato, continuo a non trovare apprendisti.
Leo55


Inviato da: bd il Martedì, 29 Giugno 2010

Leo forse ti ha salvato il fatto di "possedere" il tuo lavoro, esserne il padrone. Mettiamo che a fine mese la tua situazione fosse uguale a quella dei tuoi dipendenti. Tu avevi un vantaggio psicologico. Insomma è come paragonare l'attenzione alla propria auto rispetto a quella degli altri!


Inviato da: jasmine il Martedì, 29 Giugno 2010

Io volevo cambiare lavoro, per migliorare la mia professionalità e trovare un posto più stimolante, ma....partivo da un contratto a tempo indeterminato e non potevo permettermi di rinunciarvi per un contratto più precario.Adesso sono anche sposata e la mia nuova condizione è ovviamente molto temuta dai datori di lavoro..insomma ho smesso di cercare e sto dove sono. Per rispondere al tuo quesito, a Milano secondo me il lavoro c'è ma il posto fisso è un miraggio, riservato a chi davvero eccelle nel suo settore.


Inviato da: Paolo il Mercoledì, 30 Giugno 2010

No, ragzzi, diciamocelo chiaro. Il lavoro non c'è non perchè di lavor
o in assoluto non ce ne si, a Milano (un po' meno forse sì ma non siamo poi così in basso). E' che ormai fare contratti a progetto o occasionali è diventata una moda del tutto illegale ma di fatto l'orribile legge Biagi ha avuto questo effetto, un effetto - a mio parere -voluto. State attenti e non abbiate pauraa di fare causa al vostro datore di lavoro, anche in più di un lavoratore. La legge, se il co.co.pro o la collaaborazione non sono regolari (l'80% dei casi) vi tutela e potete recuperare un po' dei soldi che questo Paese di furbetti vi toglie. Siamo noi lavoratori che dobbiamo agire contro, e farlo in tanti, non dobbiamo aspettare unaa loro mossa o passo falso.


Inviato da: bd il Mercoledì, 30 Giugno 2010

no jasmine. Riservato a chi ha almeno 30-40 anni. Se tutti eccellessero non esisterebbe nemmeno il posto precario. Non sarebbe semplicemente mai nato.
Re: Lavoro a Milano: qualcuno assume?

Inviato da: omar il Mercoledì, 30 Giugno 2010

NO leo55, credi male!
tu non sei stato/sei un precario! sei un artigiano, un libero professionista, che quando rinuncia alle ferie, lo fa per far crescere un'azienda che è sua e rimarrà ai suoi figli (è un valore aggiunto rispetto agli straordinari).


Inviato da: aulaguide.net il Mercoledì, 30 Giugno 2010

Ancora per Leo55:
non sei l'unico a sbagliarti, ma tu sei in buona fede.
Pensa che anche il mio ex-direttore, libero professionista, ama definirsi "l'ultimo dei precari" perchè il suo è un contratto a termine (mandato di 4 anni).
Questo manager milanese (il cui stipendio+premiorisultato ingloba l'incertezza del rinnovo) ha ricevuto pure il PREMIO LOMBARDIA PER IL LAVORO 2009... nello stesso anno in cui ha eliminato i 60 falsi cocopro che l'hanno denunciato!!
Non posso scrivere il nome perchè il regolamento-moderatore non lo consente.
Omar

Presentazione libro












Questa sera, 30/6 alle 18.30 alla Fnac di via Torino verrà presentato il libro "Iolavorointivù" di Mauro Garofalo (Alacràn Edizioni) e il fumetto «Interferenza» di Bruno Letizia ispirato al libro.
Fnac - via Torino ang. via Palla - Milano

Fonte: http://milano.corriere.it/milano/notizie/arte_e_cultura/10_giugno_30/Oliva-tele-diario-1703295294252.shtml

martedì 29 giugno 2010

La Cgil (forse) più vicina ai pecari - Luc@












Si potrà dire "finalmente!".
Susanna Camusso, futura leader della Cgil ha annunciato in un intervista sul Corriere di venerdì 25 giugno di voler impegnarsi maggiormente per i lavoratori precari(stimati in circa 2.500.000 al 2009).

Tra le misure che il sindacato ha intenzione di intraprendere ricordo la richiesta al governo di sgravi fiscali per 30 milioni di euro in due anni e un piano straordinario di ispezioni contro le aziende che non rispettano leggi e contratti.

Particolare attenzione è rivolta ai call center (proprio ieri lunedì 28 giugno si è tenuta a Roma alla presenza delle sigle Slc, Fistel-Cisl, Uilcom, Assocontact ma non un rappresentante del governo l'assemblea nazionale dei quadri e dei delegati dei call center in outsourcing): come disincentivo al precariato verrà chiesto che i committenti non possano presentarsi alle gare d'appalto con offerte che scendano sotto il minimo di retribuzione previsto dal contratto nazionale delle telecomunicazioni (16 euro l'ora + 1 euro per la sicurezza).

Obbiettivo altrettanto importante è anche quello di voler salvaguardare l'occupazione come condizione per poter accedere ad agevolazioni fiscali.

In cambio i lavoratori potranno mostrarsi disponibili a flessibilità aggiuntive per andare in contro alle esigenze delle aziende.

Fonte: Corriere della Sera Economia del 28/6 (rubrica a cura di Enrico Marro)

giovedì 24 giugno 2010

L'adagio «I lavoratori dipendenti pagano le tasse, gli autonomi evadono» - Luc@



Mentre il tema della imposte versate dai lavoratori dipendenti o da quelli autonomi è oggetto della lettera del signor Marco Saverio Weiss sul Corriere di oggi mercoledì 24 giugno (http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/10_Giugno_24/Dipendenti-e-autonomi_99b97338-7f50-11df-a8d7-00144f02aabe.shtml), vorrei che si accendessero i riflettori sul tema della mancate imposte versate dalle aziende alle centinaia di migliaia di "lavoratori a progetto" che sono a tutti gli effetti "dipendenti" delle rispettive aziende.
Quanto risparmiano le aziende e quanto meno viene in tasca al "lavoratore dipendente a progetto"(come il sottoscritto) oltre alle eventuali tredicesime o quattordicesime non percepite, i tickets e gli eventuali benefits sui quali i colleghi assunti possono eventualmente contare ?
Ma lo Stato e l'Inps non hanno interesse a far emergere le somme non corrisposte ?
Confindustria e la varie associazioni perché non si impegnano a firmare un intesa che limiti l'uso dei contratti a progetto intesi come alternativa ai lavoro subordinato ?
Evidentemente al Governo sono troppo impegnati a garantire un lauto stipendio a neoeletto ministro Brancher. E oggi abbiamo intuito il perché.
Gli è stato conferito quest'incarico: si avvarrà del legittimo impedimento per un processo che lo vede imputato!

lunedì 14 giugno 2010

Flessibilità, arma per crescere. Ma di quale flessibilità parliamo ? - Luc@




Mi avrebbe fatto piacere partecipare all'annuale assemblea di AssoLoambarda che si è tenuta questa mattina presso l'auditorium Verdi di Milano
(http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_giugno_14/Querze-assolombarda-chiede-svolta-senza-tabu-1703193867176.shtml).

La convention si è aperta sulle note di Bob Dylan
volute dal suo presidente, Alberto Meomartini.
I versi del cantante sono stati scelti per ammonire Milano e il Paese rispetto alla necessità del "cambiamento".
Un "cambiamento" necessario e che, udite udite, deve far perno sulla
"flessibilità" che è diventata un imperativo categorico se si vuole competere con qualche chance in un mondo globalizzato.

Viene da chiedersi cosa si intende per flessibilità.
A ben pensare si potrebbe interpretare la parola flessibilità come "orari più morbidi e aperti, aperture di esercizi commerciali meno vincolate e meno rigide, un approccio più flessibile da parte delle istituzioni nei confronti delle aziende e dei piccoli".
Spero che non si voglia invece estendere la flessibilità ai giovani lavoratori o alle nuove leve: di lavoratori precari a finti progetti
che lavorano per la maggior parte otto ore al giorno senza avere riconosciuti i contributi e i diritti dei loro stessi colleghi iniziamo ad averne fin troppi.

Ecco, vorrei che ci spiegassero di quale flessibilità intendono avvalersi per far ripartire l'economia.

Non mancherò di aggiornarvi sui futuri sviluppi.

venerdì 21 maggio 2010

Se l'Osservatore Romano elogia Mtv... - Luc@



Metti di leggere a pagina 45 del Corriere della Sera di mercoledì 20 maggio il seguente trafiletto:

"L'Osservatore Romano elogia a sorpresa Mtv".

Perché? Perché "la televisione di tendenza liberal seguita dai ragazzi per i video musicali ha colto di sorpresa piacevolmente: con il fiorire di telefilm e fiction sulla maternità adolescente. Il fatto nuovo è che si raccontano storie di teenager che restano incinte e non abortiscono".

Al di la' del poter condividere o meno la posizione di queste ragazze,
mi chiedo... ma dove eravate quando l'anno scorso Mtv ha lasciato a casa centinaia di precari ???

giovedì 13 maggio 2010

Manifesto per Milano ? Iniziamo dalla stabilità sul lavoro ! - Luc@



Il Corriere di oggi riporta il "Manifesto per Milano", un documento steso con la collaborazione di intellettuali, imprenditori...
(mi ricorda quando qualche anno fa si parlò di "manifesto dei trentenni"... finì tutto nel dimenticatoio).

Riporto il messaggio di commento inviato al giornale:

Amo la mia città da sempre, anche se non vivo più fra le sue mura perché non posso più permettermelo.
Vorrei proporre di iniziare a dare una dignità a tutti i giovani lavoratori.
Un salario dignitoso e stabile, commisurato alla propria esperienza.
Per "vivere" la città bisogna nutrirsi di cultura, eventi, mostre, frequentare luoghi ed incontri.
Ma non tutti questi sono gratuiti.
Non si può presenziare alle presentazioni dei libri e dover sempre rimandare l'acquisto perché si è sempre in perenne difficoltà. E' umiliante.
Iniziate, cari imprenditori, a darci la nostra dignità e la capacità di essere autonomi.
Siamo stufi di non arrivare a fine mese e vedervi però spesso arrivare in ufficio con il suv o l'orologio con il movimento tourbillon al polso.
"Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa." (art. 36 della Costituzione Italiana)

venerdì 23 aprile 2010

Gli italiani e i lavori sottopagati - post dalla rete



Non esistono lavori che gli italiani non vogliono più fare. Esistono lavori sottopagati. Esistono tecnologie obsolete. Esistono situazioni di illegalità. Riprendo i quattro esempi: mungitore, muratore, colf e badante. Il mungitore ha un contratto? Quanto viene pagato? Ci sono aziende automatizzate (a un costo ragionevole, non è roba da Nasa) nelle quali le mucche vanno a mungersi da sole. Il muratore deve fare un sacco di gavetta. Ci sono imprese edili che ti assumono con la prospettiva di impiegarti fino alla pensione? Vengono rispettate le regole di sicurezza? La colf e la badante, altri esempi di lavori allo sbando. Esiste un certificato professionale per la collaboratrice domestica, la badante? È tutta gente che si improvvisa un lavoro. In Cina c'è gente che costa ancora meno, se ci fai caso quei lavori sono impossibili da esportare. Portiamo le vacche in Cina? Costruiamo la villetta in Cina e la portiamo qua col camion? Spediamo la vecchietta in Cina e ci facciamo passare l'aspirapolvere via internet da una cinese? Analizzare la situazione e ricavarne tesi come quella che gli italiani sono troppo viziati e mollaccioni per accettare certi lavori è offensivo, oltre che semplicistico. Il fatto che ci siano persone che accettano comunque lavori inaccettabili ha come risultato che questa situazione non evolverà. Sono tutte scuse per evitare adeguamenti a necessità reali e giustificare arretratezza, illegalità e precarietà. Noi cerchiamo schiavi, da impiegare possibilmente in nero e, per mettere una toppa ipocrita alla coscienza, chiediamo ringraziamenti perché stanno meglio di come starebbero a casa loro. Se vogliamo che gli italiani facciano o tornino a fare certi lavori non dobbiamo adattare gli italiani al lavoro ma il lavoro agli italiani.
Raffaele Birlini

lunedì 19 aprile 2010

Crisi in Lombardia - articolo



Cassa integrazione, in marzo aumento del 48,7%.
«Dall’inizio dell’anno licenziati 16 mila dipendenti»

MILANO - Nessuno si aspetta buone notizie dal mercato del lavoro. Almeno per il 2010. I problemi sono: quanto profonda è la crisi? Quanto distante è la risalita? Dai dati sulla cassa integrazione autorizzata a marzo in Lombardia non arrivano risposte in grado di risollevare il morale. Continua ad aumentare la cassa integrazione autorizzata in regione. E i pochi che hanno trovato lavoro nel 2009 si sono dovuti accontentare in tre casi su quattro di un’occupazione a termine.

Boom della cassa. Partiamo dalla cassa integrazione. Secondo un’elaborazione Uil su dati Inps, la somma di cassa integrazione ordinaria e straordinaria autorizzata in regione è passata dai 30 milioni di ore di gennaio ai 28 milioni di febbraio per risalire fino ai 42 di marzo. Più 48,7% nell’ultimo mese. Il balzo in avanti è da imputare soprattutto alla cassa straordinaria (quella legata alle crisi più serie). La cigs, infatti, è aumentata in un mese del 61,5%. «Secondo una prima stima, sono circa 200 mila i lavoratori coinvolti dalla cassa in regione», fa il punto Claudio Negro, della segreteria regionale Uil. «Il dato positivo della faccenda è che mentre la cassa cresce diminuisce la mobilità, cioè i licenziamenti tout court — continua il sindacalista —. In ogni caso ci aspettiamo che la cassa integrazione resti a livelli elevati almeno fino alla fine dell’anno ».

Sedicimila licenziati. A proposito di licenziamenti, tra gennaio e marzo 16.200 lombardi hanno perso il posto e si sono iscritti alle liste di mobilità. Il 16% in più rispetto al corrispondente periodo del 2009, il 66% in più rispetto a gennaio-marzo 2008. Questi dati riguardano solo licenziamenti per riduzione del personale di persone con contratto a tempo indeterminato. Non si tiene conto, quindi, dei contratti a termine non rinnovati. Da gennaio 2009 al 12 aprile le domande di cassa in deroga (quella riservata alle piccole imprese) in Lombardia sono state 24.342, i lavoratori coinvolti 160 mila per un totale di oltre 103 milioni di ore richieste. Segno che la crisi continua a mettere a dura prova anche la piccola impresa.

Posto fisso cercasi. In un momento così delicato chi perde il lavoro se va bene si ricolloca a tempo determinato. A certificare come il posto fisso stia diventando una chimera sono i dati dell’Agenzia regionale del lavoro. Nel 2009 in Lombardia il 25% degli avviamenti è stato a tempo indeterminato (uno su quattro) contro il 44% di contratti a termine, il 14% di lavori a progetto, il 12% di lavori in affitto. Ridotti ai minimi termini gli avviamenti con il contratto di apprendistato: solo il 3% del totale.

L’appello delle imprese. «Non mi stupisce che gli imprenditori centellino le assunzioni a tempo indeterminato— osserva Ambra Redaelli, presidente comitato piccola industria di Confindustria Lombardia —. In un momento così delicato si misura con attenzione la lunghezza del passo. D’altra parte in tempi non sospetti avevamo detto che l’onda lunga della crisi sull’occupazione sarebbe arrivata nel 2010». Secondo Redaelli i piccoli fanno i conti con un paradosso. Hanno fatto sacrifici pur di non licenziare. E adesso le banche centellinano il credito proprio perché l’impresa deve farsi carico degli stessi costi del personale di due anni fa quando il giro d’affari è drasticamente diminuito. Confindustria Lombardia dice chiaro che «le imprese hanno bisogno di essere sostenute e si aspettano molto dalle politiche industriali della nuova giunta Formigoni». Oltre al credito, a preoccupare i piccoli è il costo delle materie prime. «Gli aumenti mettono in difficoltà le imprese — conclude Redaelli —. Ma sono anche il segno che il cancro della speculazione non è ancora stato sconfitto ».

Rita Querzé
fonte: Corriere della Sera

lunedì 12 aprile 2010

Lettera a Tiraboschi - post dalla rete



Gentile dott. Tiraboschi,
sto seguendo con molto interesse il vivace dibattito tra Lei, il professor Ichino e gli economisti de La Voce. Non nego di essere idealmente affine ai suoi interlocutori più che a Lei, anche se trovo sensate e condivisibili molte delle Sue obiezioni (nonostante la sensazione che la proposta Ichino, a differenza di quella Boeri-Garibaldi, già le consideri e in qualche modo vi dia risposta).
Non sono un giuslavorista, quindi non entro ulteriormente nel merito delle questioni tecniche e giuridiche. Sono però un lavoratore a progetto, uno dei moltissimi laureati della mia generazione che hanno un’occupazione tramite questa forma contrattuale. Mi sento pertanto “parte in causa” del dibattito in corso ed è con riferimento alla mia situazione concreta (che è poi quella di molti altri divenuti maggiorenni più o meno nell’anno dell’approvazione della riforma Treu) che Le scrivo la presente.
Premetto di essere un co.co.pro. anomalo, come lo sono del resto quasi tutti i co.co.pro che conosco: sono più o meno all’ottavo contratto a progetto consecutivo, al quarto anno di lavoro presso la prestigiosa struttura privata presso la quale svolgo le mie attività con orario 9.30-18.30, 5 giorni a settimana, in maniera subordinata rispetto “al mio capo” e occupandomi contemporaneamente di una pluralità di progetti, solitamente diversi da quelli formalizzati nella lettera d’incarico.
Sono fermamente convinto che, quando tutto va bene, il contratto a progetto possa essere anche una discreta opportunità: soprattutto, ha ridotto le barriere d’ingresso, quindi ho potuto iniziare a lavorare senza selezioni particolarmente impegnative e dimostrando sul campo il mio valore e le mie capacità.
Ciò nonostante, in questi quattro anni ho vissuto da lavoratore di serie B. Non tanto per quel che facevo (lavoro esattamente analogo a quello dei dipendenti), quanto per una serie di altri fattori, economici e non solo:
1. se il netto mensile è paragonabile a quello che avrei da dipendente, non ho diritto né possibilità di contrattare buoni pasto, tredicesima, trattamento di fine rapporto, premi di produzione etc;
2. in una situazione difficile quale quella attuale, tutti noi “a progetto” siamo i lavoratori più vulnerabili. La Direzione non ha provveduto a nessun licenziamento (la cassa integrazione non è contemplata), ma in compenso ha drasticamente ridotto il numero di dipendenti a progetto (o meglio, di persone che lavoravano con quelli che, fino agli inizi della crisi, definivamo “contratti a rinnovo indeterminato”), semplicemente smettendo di rinnovare tali contratti. Il ridimensionamento subìto in due anni dalla struttura è impressionante. Eppure, proprio a causa delle differenze contrattuali, non ha finora seguito una logica razionale e meritocratica, non si è trasformato in un’opportunità per migliorare il funzionamento complessivo: è più facile e meno disdicevole non rinnovare un contratto, piuttosto che licenziare qualcuno; 3. la differenza è che i lavoratori con contratti non rinnovati sono finiti nella disoccupazione a zero euro, mentre i dipendenti (oltre al TFR) avrebbero avuto accesso ad ammortizzatori sociali decisamente più vantaggiosi;
4. tempo fa avevo inviato il mio curriculum ad un’azienda “concorrente”.
Sono stato immediatamente richiamato dal selezionatore risorse umane ed abbiamo parlato a lungo, fin quando m’ha chiesto “Quindi Lei è un dipendente…”. Inavvertitamente, avventatamente, ho risposto che “Beh, in realtà lavoro con un contratto a progetto..” La telefonata si è interrotta pochi secondi dopo e non ho più avuto sue notizie;
5. insieme a mia moglie (precaria più di me, anche lei laureata con 110 e lode, lei in un ambito d’eccellenza quale quello delle biotecnologie) paghiamo 1.000 euro al mese d’affitto, perché col contratto a progetto tutto posso fare fuorché pensare all’idea d’un mutuo. Le Poste italiane si son rifiutate di farmi una carta di credito, che pure mi serviva, perché avevo un contratto a progetto. Per un acquisto impegnativo ho recentemente chiesto al negoziante di poter ricorrere al credito al consumo, ma siccome il mio ennesimo contratto scade entro sei mesi non è stato possibile e ho dovuto pagare “tutto e subito”.
Che dirLe? La sensazione forte è che tutto il diritto del lavoro e il welfare di questo Paese siano tarati su un modello che non esiste, su un sistema fondato sull’industria manifatturiera di medio-grandi dimensioni.
Non è questa l’Italia. L’Italia è il Paese delle micro-imprese con meno di 10 dipendenti, è il Paese delle partite-iva e sempre più è il Paese dei contratti a progetto (ah, dimenticavo: durante il Governo Prodi hanno cercato di convertirci da parasubordinati a partite iva, ma ci siamo fermamente opposti: a tutto c’è un limite!).
Non so quale sia la soluzione. L’idea di denunciare il mio datore di lavoro non la prendo neanche in considerazione, ovviamente: non ho intenzione di rovinarmi la vita. Sperare nella sua benevolenza, in un’assunzione octroyée, è altrettanto fuori discussione. Essere veramente a progetto, lavorando per più committenti, non è fattibile. Per uscirne non mi resta che sperare in un’iniziativa legislativa. Una proposta che parta da una considerazione banale banale: per la maggioranza degli italiani l’articolo 18 non esiste, come non esiste la cassa integrazione, come non esistono i sindacati. Esiste solo la flessibilità, una flessibilità senza prospettive e senza tutele, che ci spinge a dare il massimo ma soltanto perché se mettiamo un piede in fallo rischiamo di cadere nel baratro.. e comunque il rischio che nonostante tutto qualcuno ci spinga giù è sempre attuale.
Io vedo in un modello di contratto unico la soluzione possibile. Però forse sono ingenuo e poco informato, magari esistono delle alternative (non lo so, non credo: perché, per lo stesso lavoro, devo avere un trattamento differente?). L’obiettivo condiviso, comunque, non può che essere quello di pervenire ad un sistema di flexsecurity. Per favore, lo chiedo a Lei, a Ichino e a tutti gli altri eredi di Biagi, di D’Antona e dei tanti giuslavoristi che hanno pagato con la vita e continuano a rischiare per migliorare un minimo il diritto del lavoro in questo Paese: sedetevi intorno a un tavolo, seppellite l’ascia di guerra e i pregiudizi ideologici e trovate un compromesso, una risposta ai problemi reali di quest’assurda Repubblica, che dovrebbe essere fondata sul lavoro.

Autore: M.M.V.
Fonte: Unità.it

Generazione a pianificazione zero - post dalla rete



Generazione delta X - G.
Traduzione: generazione a incognita variabile, basata sul capitale dei genitori. Vivo questa equazione matematica sulla mia pelle: nato nel 1976, studi e università, piccoli lavori, assunto con un ottimo incarico e a tempo indeterminato presso una società municipalizzata, licenziato anni dopo al primo cambio di amministrazione: disoccupato con una compagna dolcissima accanto, una casa da mantenere e un figlio in arrivo. Immediatamente cerco lavoro ovunque, consegnando decine di curriculum. La risposta è sempre la stessa: c'è la crisi, non assumiamo. A volte invece è: non ha esperienza in questo settore. Certo che non ce l'ho. Se tutti pretendono dipendenti già esperti, o si nasce già con un'esperienza specifica geneticamente indotta, o si muore senza averla mai potuta fare.
Morale: ho una famiglia tutta mia, ma sopravvivo solo grazie all'aiuto/contributo dei genitori. Tremendamente umiliante e al tempo stesso una fortuna grandissima, un privilegio. Posso aver commesso errori o ingenuità, ma è indiscussa la mia voglia di lavorare, pari solo al desiderio fortissimo di indipendenza. Sì, vorrei passare completamente dallo status di figlio a quello di padre, e rimenere legato ai miei genitori esclusivamente dal grande amore e riconoscenza che ho nei loro confronti, ma pare che tutto questo sia ancora impossibile, se non addirittura utopistico. Chiedete a un trentenne come vede il futuro: vi risponderà che si sente cieco. Ignoro cosa mi succederà tra un mese, figuriamoci tra un anno o dieci.
Generazione a pianificazione zero. Ecco cosa siamo.

Giuseppe Calandrini

mercoledì 31 marzo 2010

Lavoro, Napolitano non firma - notizia

Il presidente Napolitano ha rimandato alle Camere il disegno di legge che ipotizzava un arbitrato per i licenziamenti e che ha fatto recentemente insorgere l'opposizione e la Cgil esprimendo
forti perplessità e per "una così ampia delegificazione".
Mi auguro che al prossimo giro la legge risulti fortemente migliorata e con più tutele per il lavoratore.
I tempi di pronunciazione della giustizia sulle cause sono comunque troppo lunghi.
Luca

lunedì 22 marzo 2010

Collaboratori a progetto: l'indennità per chi ha perso il lavoro - articolo dalla rete



L'Inps ha finalmente emanato la circolare che stabilisce requisiti e modalità da seguire per i collaboratori a progetto che hanno perso il lavoro e vogliono usufruire del bonus una tantum previsto dalla Finanziaria.

Chi ha diritto al bonus
La cifra riconosciuta ai co.pro. è pari al 30% del reddito percepito nel 2009, ma non può superare i 4.000 euro. Per accedere al bonus, i collaboratori devono rispettare alcune condizioni:

  • lavorare per un solo committente che ha interrotto il rapporto di lavoro;
  • aver conseguito nel 2009 un reddito lordo compreso tra 5.000 euro e 20.000 euro;
  • aver lavorato almeno tre mesi nel 2009 e almeno un mese nel 2010. Deve cioè risultare che il datore di lavoro ha accreditato i contributi, corrispondenti ai mesi lavorati, presso la gestione separata dell'Inps;
  • essere senza contratto di lavoro da almeno due mesi.

Come fare domanda
La domanda per usufruire dell'indennità deve essere presentata entro 30 giorni dalla data in cui risulta concluso il rapporto di lavoro. Può essere inviata per posta con raccomandata a/r o consegnata di persona alla sede Inps competente in base alla residenza. Allo stesso modo, ci si può rivolgere a un patronato che gratuitamente vi assiste nella compilazione e nell'invio del modulo.

Come per tutti gli altri ammortizzatori sociali, anche questa indennità prevede, per l'erogazione, che insieme alla domanda sia consegnata una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale.

Fonte: www.altroconsumo.it

venerdì 19 marzo 2010

L’eredità di Marco Biagi oltre i conformismi vecchi e nuovi - articolo



Caro Direttore, questa sera a Bologna, alle otto e cinque, molte persone di idee diversissime tra loro arriveranno in bicicletta davanti al portico di via Valdonica 14, dalla stazione ferroviaria: è il percorso che Marco fece per l’ultima volta il 19 maggio 2002. Intanto a Modena, per coltivare il suo contributo al progresso della cultura del lavoro, sono riuniti per tre giorni studiosi di tutto il mondo e di tutti gli orientamenti, come ogni anno, per iniziativa della Fondazione Marco Biagi. Perché questa stessa serenità nel far rivivere la sua eredità non riesce ad affermarsi tra le forze politiche e sindacali? La sola risposta che riesco a dare è questa: sul terreno politico come su quello sindacale otto anni non sono bastati per superare il micidiale gioco sistemico di faziosità contrapposte che si scatenò quando la legge Biagi venne proposta e poi varata. Allora la maggioranza di centrodestra la presentò — falsamente— come la legge che avrebbe reso il mercato del lavoro italiano "il più libero e fluido d'Europa"; e all’opposizione non parve vero di prendere la maggioranza in parola, demonizzando quella legge come la "liberalizzazione selvaggia", lo smantellamento del sistema delle protezioni del lavoro.

Poiché almeno su questo punto maggioranza e opposizione erano sostanzialmente d'accordo, l'opinione pubblica si convinse che le cose stessero proprio così. Salvo poco più tardi dover constatare che quella legge non aveva cambiato neppure una virgola della disciplina del rapporto di lavoro regolare a tempo indeterminato e non aveva creato alcuna forma di lavoro "precario" che non esistesse già prima: si era limitata a riconoscere e a regolare, più severamente di prima, rapporti di lavoro marginali già da tempo in via di crescente diffusione. Durante la legislatura prodiana, il ministro del lavoro Damiano utilizzò largamente proprio la legge Biagi per arginare gli abusi delle collaborazioni autonome. Ciononostante la maggioranza di allora cercò affannosamente qualche cosa da abrogare di quella legge, senza trovarlo; e alla fine, disattendendo l'accordo interconfederale del 23 luglio 2007 firmato da tutti i sindacati e associazioni imprenditoriali, poiché era intollerabile che la legge aborrita venisse lasciata intatta, decise di abrogarne la previsione dello staff leasing, ovvero di una forma di organizzazione del lavoro che prevede un rapporto stabile, a tempo indeterminato, con applicazione dell'articolo 18 dello Statuto. Naturalmente, il fenomeno del precariato non ne fu minimamente scalfito. Coll'individuare nella legge Biagi una delle cause principali di quel fenomeno, la vecchia sinistra ha clamorosamente sbagliato il bersaglio.

E tuttavia nei suoi documenti ancora oggi ritorna immancabilmente la bolsa rivendicazione rituale che l’odiatissima legge venga abrogata (salvo evitare di chiamarla col suo nome, perché "Marco Biagi era persona troppo perbene": i suoi detrattori la indicano sempre come "legge 30"). La demonizzazione faziosa da sinistra offre su di un piatto d'argento al centrodestra l'opportunità di fare del giuslavorista bolognese la propria bandiera. Non importa che lo stesso centrodestra abbia fin qui dimenticato tutta la parte del suo progetto riguardante gli ammortizzatori sociali; né che abbia clamorosamente archiviato, con le dichiarazioni dei ministri Tremonti e Sacconi, l'intero discorso di Marco Biagi sulla necessità di superare il dualismo del nostro mercato del lavoro, anche allineando la nostra disciplina dei licenziamenti per i nuovi rapporti di lavoro ai migliori modelli europei. Quel che conta è che lo si possa indicare quale ispiratore di tutto ciò che il governo propone e impone in materia di lavoro. Come è avvenuto ultimamente con la nuova norma sull’arbitrato nelle controversie di lavoro (così mal scritta, che il giorno dopo la sua approvazione Cisl, Uil, Ugl, Confindustria e Confcommercio si sono affrettate ad avvertire che la sua utilizzazione dovrà essere drasticamente delimitata e corretta attraverso la contrattazione collettiva).

Marco, certo, era un paladino del rilancio dell'arbitrato; ma attribuirgli la paternità di questo pasticcio dovuto a imperizia tecnica, di cui egli non ha alcuna responsabilità, non onora certo la sua memoria. E non aiuta a svelenire il dibattito sulla sua eredità. A ben vedere, il grande merito di Marco Biagi è consistito nella sua capacità di guardare al nostro sistema delle relazioni industriali con un occhio attento alla comparazione internazionale e profondamente libero da conformismi vecchi e nuovi. È troppo chiedere che nell’ottavo anniversario del suo assassinio ci fermiamo tutti almeno un giorno per cercare di recuperare quell’apertura di orizzonti e quella libertà?

Autore: Pietro Ichino

Fonte: Corriere.it del 19 marzo 2009

martedì 16 marzo 2010

Sopravvivere alla precarietà o sopravvivere alle dichiarazioni di Tiraboschi ? - Luc@



Sul sito "Economia e società" (http://www.economiaesocieta.org/Videogallery/Diretta_2010/Il_convegno_in_diretta.kl) è ancora possibile leggere le domande inviate ai partecipanti dell'incontro sul precariato "Sopravvivere alla precarietà" di lunedì 15 marzo presso l'università Bocconi: molte di queste domande erano rivolte al professor Michele Tiraboschi, le cui comparsate a questi convegni suscitano sempre parecchi interrogativi e destano incredulità nel pubblico...

L'incontro è durato circa due ore,
è stato introdotto dal professor Tito Boeri, il quale ha dato informazioni interessanti e decisamente preoccupanti.
Ha ricordato che l'attuale tasso di disoccupazione si aggira sull' 8,6 % (senza cassa integrazione si aggirerebbe al 10,7 %).
Inoltre ha messo in evidenza i seguenti dati:
- circa 800.000 posti di lavoro sono coinvolti nella crisi.
- la categoria dei precari non è rappresentata dal punto di vista sindacale rispetto ai dipendenti e ai pensionati.
- il salario di un precario è mediamente più basso del 25% rispetto a quello di un dipendente (tralasciando bonus, ticket, tredicesime ed eventuali quattordicesime)
- un precario può perdere il posto di lavoro fino ad otto volte più facilmente che un lavoratore dipendente.
- solo quattro precari su 100 ricevono sussidi per la disoccupazione.
- la categoria rischia di percepire pensioni più basse del 30% rispetto ad un dipendente.

Per uscire da questa situazione il professor Boeri ha proposto l'introduzione delle seguenti misure:
-rivisitazione minimi salariali
-incentivazione all'uso del contratto a tempo indeterminato
-introduzione sussidio unico di disoccupazione

Ha poi preso la parola la giornalista Fiorella Kostoris che ha ricordato alcune cifre che possono arrivare a farci avere un idea del numero di precari presenti nel nostro paese al 2009: dovremmo essere circa 2.500.000.
Non male...

Il Ministro Sacconi è stato invitato ma non si è presentato, e di ciò lo ringrazio personalmente.

Al suo posto avevamo appunto il "sacconiano" (non nel senso di emule di Arrigo Sacchi ahimè) Michele Tiraboschi, persona che ho avuto già modo di ascoltare durante un incontro organizzato nel 2009 a Milano e che mi sembra del tutto distante dalla realtà del mondo del precariato, nonostante abbia ricoperto un ruolo di primo livello nella fondazione Biagi (della quale non è più vice presidente) .
Il professor Tiraboschi ha da sempre elogiato la flessibilità, attribuendo a questo strumento il merito di aver abbassato il lavoro in nero
(forse bisognerebbe ricordargli che fare "i dipendenti a progetto" ricevendo meno contributi rispetto ai colleghi assunti non è propriamente corretto).
Ha ricordato che le aziende devono puntare sulla formazione (poco importa il fatto che non sei assunto non ti formano a priori) e che i lavoratori a progetto sono pagati tutto sommato in maniera equa etc etc.

Per fortuna il bravissimo giornalista Dario Di Vico è più volte intervenuto per correggere i dati forniti dal Professore Tiraboschi
(mi fa sorridere che le dichiarazioni di questo illustre professore vengano sempre corrette dal giornalista presente, sia il Di Vico o il Gad Lerner di turno e suscitino spesso ilarità tra i ragazzi del pubblico).

Non ho potuto intervenire durante l'incontro, purtroppo non ero nelle primissime file e pazienza se ho alle spalle dieci anni di esperienze di lavoro in nero, a progetto, a partita iva.

Concludo dicendo che apprezzo si stia continuando a parlare del tema, occasioni di confronto di questo tipo dovrebbero avere cadenza annuale.

Vorrei solo fare un appunto a chi organizza questi incontri: invitate sul palco un precario, uno di noi.
Non siamo mai rappresentati in questi incontri: almeno abbiate la pazienza, qualche volta, di ascoltarci e di dare a noi precari la possibilità di raccontare la nostra esperienza.
Credo che il nostro punto di vista potrebbe essere interessante...

Luca

lunedì 15 marzo 2010

Incontro presso università Bocconi "Sopravvivere alla flessibilità"


Precari, dualismo del mercato del lavoro, contratto unico. Di questo si discuterà con Boeri, Kostoris e Tiraboschi lunedì 15 marzo a Economia e società aperta.

Dal 2007 a oggi, la disoccupazione in Italia è salita dal 6,1% all’8,6%. Due punti percentuali e mezzo in linea con quanto poteva essere previsto alla luce dell’andamento del prodotto interno lordo. Però, “aggiungendo a questi numeri i lavori a tempo pieno equivalenti alle ore erogate di cassa integrazione, il tasso di disoccupazione salirebbe al 10,7%”, spiega Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi e relatore di “Disoccupati e precari: e se diventano una categoria?”, il terzo incontro di Economia e società aperta, in programma lunedì 15 marzo presso la nuova aula magna Bocconi. Con Boeri discuteranno di mercato del lavoro duale e possibili via d’uscita Fiorella Kostoris, ordinario di economia alla Sapienza e Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro a Modena, moderati dal giornalista del Corriere Dario Di Vico.

“Dall’inizio della recessione sono stati distrutti quasi 800 mila posti di lavoro e in quattro casi su cinque si tratta di lavoratori duali”, sottolinea Boeri. Questi ultimi, i precari, sono soprattutto giovani e poco assistiti dallo stato: sempre dal 2007, secondo Boeri, la disoccupazione giovanile è aumentata di dieci punti, salendo al 27%, mentre meno del 4% dei disoccupati con meno di 30 anni “riceve sussidi di disoccupazione e indennità di mobilità”. Il precario, “o meglio, lavoratore duale, in quanto vittima di un dualismo del mercato del lavoro che tutela il tempo determinato e non le forme contrattuali flessibili”, guadagna il 25% in meno a parità di condizioni e rischia otto volte di più il posto di lavoro.

Su una possibile exit strategy da questa situazione di dualismo contrattuale, e dalle conseguenze che esso genera, Boeri è chiaro: “Innanzitutto, deve cambiare la fase di inserimento nel mercato del lavoro: ci sono diverse proposte volte a conciliare la flessibilità richiesta dai datori di lavoro con le esigenze di stabilità dei dipendenti con un contratto unico a tutele progressive”. In secondo luogo, sulle retribuzioni, “potrebbero anche avere effetti positivi sull’occupazione un salario minimo orario e soglie minime di reddito per chi vuole assumere con contratti flessibili”. Infine, va decisamente rivisto il sistema degli ammortizzatori sociali: “Si può pensare a un sussidio unico di disoccupazione con regole di accesso uguali per tutti. Costerebbe meno degli strumenti in deroga oggi vigenti”.

La partecipazione è gratuita previa iscrizione al sito: http://www.economiaesocieta.org/News/Sopravvivere_alla_flessibilita.kl

Io ci sarò...

giovedì 4 marzo 2010

Verso le elezioni... con ottimismo ! - Luc@



E dire che la notizia di questi giorni (http://www.corriere.it/politica/10_marzo_03/arbitrato-norma-statuto_d06947c6-26f6-11df-b168-00144f02aabe.shtml) l'introduzione dell'arbitro per i licenziamenti) non lascia presagire nulla di buono.

O magari sono io ad essere troppo prevenuto...


Di certo i lavoratori della ex-Atesia non staranno facendo sonni tranquilli
(http://www.repubblica.it/economia/2010/03/03/news/caso_atesia_nel_collegato-2496140/).

venerdì 26 febbraio 2010

Colloqui di lavoro: di che segno sei? - post dalla rete



Vogliamo raccontarvi dell’ultima frontiera del colloquio di lavoro, settore commercio (premesso che prima di riderci, abbiamo pianto). Tralasciamo di tediarvi parlando delle difficoltà in cui versa il settore, della precarietà del lavoro e della quasi schiavitù delle commesse, della quale categoria facciamo parte da 25 anni, mentre vogliamo soffermarci brevemente sulle odierne modalità di selezione del personale.Recentemente abbiamo sostenuto qualche colloquio (chi perché è rimasta a piedi, chi perché ha le ore contate) presso alcune aziende, anche di rilevanza nazionale; ebbene, noi ci aspettavamo domande serie relative alla nostra professionalità, all’anzianità di servizio, alle nostre aspirazioni, magari alla conoscenza di qualche lingua straniera. Invece, ahinoi, in più di un'occasione ci siamo sentite domandare: «Scusi, ma lei di che segno è? Sa, è importante».
«Roberta, capricorno». Si è sentita rispondere che il suo segno è fonte di problemi, perché troppo testardo. Elena, cancro, (io): «Ha un segno ricco di polemica e permalosità».
Morale: le faremo sapere.
Non avreste qualcuno in grado di rilasciarci un certificato, ovviamente falso, con il segno zodiacale perfetto? Scherzi a parte, ci rivolgiamo a voi certe che non abbiate versato il cervello all’ammasso del Grande Fratello, sperando che magari, sentendone parlare, qualcuno riesca ancora a vergognarsi.
Vogliamo solo lavorare. Seriamente.Come abbiamo fatto finora.
Un saluto da Verona.
Elena E. Melotti

martedì 23 febbraio 2010

Licenziata dopo il parto - articolo



«Io, manager tradita dall’azienda. Dopo il parto costretta a licenziarmi»

Storia di una bocconiana. Convocata dal direttore appena rientrata: «Grazie, non ci servi più»«Buongiorno dottoressa. Il direttore generale la aspetta nel suo ufficio». La voce della segretaria lasciava intuire un certo distacco. Strano. Torni dalla maternità, di solito i colleghi ti accolgono con un sorriso e mille domande. Come va la piccola? Piange? Come ti sei organizzata a casa? Stefania Boleso, 39 anni, marketing manager di Red Bull Italia (multinazionale austriaca presente in oltre 180 Paesi, ndr) non ha voluto ascoltare quel brivido di disagio. Come uno sportivo che si è preparato al meglio, dopo dieci mesi di maternità era stanca di immaginare la gara imminente. Baby sitter assunta a tempo pieno, marito pronto a dare una mano nelle emergenze: meglio scendere in campo e giocare. E allora via, dal capo. «Buongiorno Stefania. Scusa ma... Per motivi di costi la tua posizione non è più prevista». Tradotto: devi andartene. Con le buone o con le cattive. «Non dimenticherò mai quell’attimo — racconta adesso Stefania Boleso —. Erano le dieci del mattino del 30 settembre scorso. E’ stato come essere lasciata dal primo amore».

Una firma per cancellare oltre dieci anni di lavoro e un percorso professionale da manuale: laurea in Bocconi con 110, un anno e mezzo in una multinazionale americana (Sarah Lee) «per farmi le ossa» e poi l’ingresso in Red Bull quando il marchio in Italia era sconosciuto e la filiale tutta da costruire. Oggi la bibita è famosa anche nel nostro Paese. E l’azienda in Italia dà lavoro a 150 dipendenti. «Mi hanno fatto una proposta economica. Ho rifiutato—racconta oggi Boleso davanti a una tazza di caffè —. Ho deciso di tenere duro per orgoglio. Gestivo un budget di 18 milioni di euro ed ero il punto di riferimento di 28 persone: tutta l’area marketing. Durante la maternità ero sempre rimasta in contatto con l’azienda. Per dire, mia figlia doveva nascere il 25 dicembre e io il 18 ero a una riunione. A quel progetto ho dato l’anima. Invece l’azienda non mi ha nemmeno messa alla prova. Come si sono sbagliati. Io ci sarei riuscita a mettere insieme la famiglia con il lavoro. Avrei dato il sangue pur di farcela».

Dopo il «gran rifiuto», per Stefania Boleso sono arrivati momenti difficili. «Sono stata spostata in un locale a pian terreno riadattato a ufficio, distante cinque piani dal resto dell’azienda. Mi hanno tolto la responsabilità del marketing. In teoria avrei dovuto lavorare con due colleghe. Peccato che entrambe fossero in maternità. Insomma, ero sola». Boleso ha resistito poche settimane. «Un giorno mi è venuto un attacco di panico, ho creduto di morire. Al pronto soccorso mi hanno detto che stavo rischiando l’esaurimento. Alla fine ho mollato. Il 19 dicembre ho firmato la resa. Ho scambiato i miei diritti con una buonuscita. Non avevo alternativa: dopo aver perso cinque chili e la serenità, non mi sono sentita di imporre altre tensioni alla mia famiglia». Che cosa farà adesso, Stefania? «Questa esperienza mi ha cambiata — risponde la manager —. Ieri criticavo chi dava meno del 110% sul lavoro. Adesso sto cercando di attribuire un nuovo senso agli ultimi dieci anni. Ho deciso di ripartire raccontando questa storia. "Guarda che poi nessuno ti offrirà più lavoro", mi ha detto qualcuno. Il rischio c’è. Ma credo vada corso. Quantomeno per aiutare mia figlia a vivere in un mondo migliore».

Rita Querzé
Fonte: Corriere della Sera.it

martedì 16 febbraio 2010

Cornuti e mazziati - post dalla rete




Siamo un gruppo di ragazzi che lavorano a pochi metri dalla sede del "Corriere della Sera", presso la Mediateca Santa Teresa. Sentendo i recenti interventi sul tema dei bamboccioni ci siamo sentiti alquanto "cornuti e mazziati". Cornuti perché come molti dei giovani in questo paese percepiamo salari da fame (un dipendente full-time in questa struttura è fortunato se supera gli 800 euro al mese, il tutto dopo 6 anni di contratti rigorosamente a progetto di tutti i tipi), mazziati perché veniamo derisi sulla stampa e trattati come dei poveri incapaci. Si parla tanto di questi bamboccioni, ma poco è stato fatto sul piano politico (a destra come a sinistra) per risolvere la causa principale del problema, gli stipendi bassi (siamo agli ultimi posti in Europa per questo, con buona pace di chi dice che in Italia la crisi l'abbiamo retta meglio che altrove) e il precariato. Sicuramente ci sono giovani che restano a casa con i genitori per pigrizia e immaturità, ma la maggior parte è costretta a farlo per cause di forza maggiore. Malgrado ciò, molti affrontano lo stesso la vita con gli scarsi mezzi a disposizione. Alcuni di noi qui in Mediateca vivono da soli senza chiedere l'aiuto delle famiglie, e chi non è andato via (magari perché ha un genitore solo) collabora attivamente al budget familiare. Si potrebbe emigrare, ma non tutti fra di noi hanno avuto la possibilità di farlo. Possiamo accettare tutto nella vita, il tradimento delle generazioni che ci hanno preceduto, il totale menefreghismo verso i giovani di oggi e il fatto di doversi arrangiare da soli. Ma essere presi in giro e derisi in pubblico no, questo non lo possiamo tollerare, e un po' di rispetto lo pretendiamo, almeno questo. Buona giornata.

I Tutors Della Mediateca Santa Teresa

venerdì 12 febbraio 2010

Telelavoro, perchè da noi no ? - post dalla rete



Inviato da "Dalikos" al forum di ViviMilano

Prendo spunto dall'ultimo rapporto Eiro, un'osservatorio UE sul lavoro, nel quale analizzando il telelavoro in Europa il nostro paese risulta al fondo della classifica nell'applicazione di questo strumento.

Per gli interessati i dettagli al seguente link http://www.eurofound.europa.eu/eiro/studies/tn0910050s/tn0910050s.htm

L'area metropolitana di Milano e hinterland e' congestionata dal traffico, l'inquinamento di conseguenza sale fino a superare i limiti di tollerabilita'. Molti di noi fanno un lavoro che potrebbe benissimo essere svolto da casa, supportato da adsl, chiavette wireless, etc, perché allora non indire qualche giorno alla settimana il telelavoro?

Dovrebbe essere addirittura incentivato dalle istituzioni, invece trova tanti ostacoli.

Ma chi e' che finora ha ostacolato lo sviluppo di questo modo di lavorare ?

Se volete seguire la discussione:
http://forum.milano.corriere.it/milano/12-02-2010/telelavoro-perche-da-noi-no-1476683.html

Giornata dell'orgoglio bamboccione: perchè no ? - post dalla rete



Prendo spunto dal post di Caterina pubblicato sul blog di Beppe Severgnini...

Sarebbe davvero un idea valida fondare una "giornata dell'orgoglio bamboccione".

Continua a farmi piacere che il tema, in questi giorni, sia tornato alla ribalta.

Fonderei una Giornata dell'orgoglio bamboccione

Buongiorno Bsev, Tex e Italians,
in questi giorni ho letto molte lettere sul tema bamboccioni, e - dopo lunga e penosa riflessione - sono giunta alla conclusione di essere una bambocciona anch'io. Questo nonostante lavori e viva fuori casa da sedici anni, e nel frattempo mi sia aggiudicata (nell'ordine) un lavoro, un marito e quattro figli. Eppure rientro nella categoria honoris causa, perché senza mamma e suocera credo proprio che non ce la farei. Come molti amici e conoscenti coetanei, vivo una vita serena grazie al contributo di mia madre e di mia suocera, che certo non lavano e stirano per noi, ma si sono occupate e si occupano dei miei figli lasciandoci lavorare tranquillamente, e contribuiscono anche economicamente all'educazione dei pargoli, pagando corsi di sci e gite all'estero che altrimenti non ci saremmo potuti permettere. Per la nostra generazione, il supporto e l'apporto dei genitori pensionati resta troppo spesso fondamentale, soprattutto in caso di difficoltà (quanti separati se la cavano solo grazie a mamma e papà? Non è una critica, solo una constatazione). L'Italia del 2010 è una repubblica fondata sui pensionati; e per quanto un genitore aiuti sempre con il cuore, per chi ha passato i 40 anni, e ne ha speso 20 a studiare, accettare l'aiuto è a volte davvero umiliante.
Allora faccio outing e lo ammetto: sono una bambocciona anch'io. Se non fosse così deprimente, fonderei un Club bamboccioni senior e organizzerei una Giornata dell'orgoglio bamboccione.
Saluti,


Caterina Grando

Fonte: http://www.corriere.it/solferino/severgnini/10-02-06/05.spm

giovedì 11 febbraio 2010

C'è bisogno di una rivoluzione - articolo

Beppe Severgnini, dal suo blog

E io cosa dico ai ragazzi della scuola di giornalismo?
E voi cosa dite ai vostri figli e ai vostri nipoti? E noi cosa diciamo a chi guarda l'Italia da fuori, e pensa che siamo lungimiranti come talpe in una notte di nebbia? Da incorniciare il pezzo di Pietro Ichino sul Corriere di lunedì: «Nessuno pensa al welfare dei figli». Riassumo: il lavoro di serie A non c'è (la imprese ne sono terrorizzate: è più facile separarsi dal consorte che dal dipendente). C'è solo lavoro di serie B («a progetto» o comunque a termine) e lavoro di serie C (stage semigratuiti senza formazione, assunzione con partita Iva per mansioni professionali, d'ufficio, di cantiere, di negozio, di call center, di magazzino). Mezzo milione d'italiani che ha perso il lavoro nei mesi scorsi - la crisi non era solo «psicologica», Capo? - aveva impieghi di questo tipo: serie B e serie C. Se quest'ultima vogliamo chiamarla «Lega Pro», come nel calcio, possiamo farlo: ma non è una gran consolazione.
Ovviamente - questo Ichino non l'ha scritto, ma lo sa - la nostra società è basata sul lavoro di serie A: dall'autostima al mutuo in banca, poco si ottiene con un contrattino a progetto. Che avrebbe dovuto essere un mezzo, secondo la legge Biagi, non un fine. Ma si sa come vanno le cose: fatta la legge (dagli adulti), trovato l'inganno (dei giovani). Non solo. L'infausto 3+2, l'abitudine al «fuori corso» e la microuniversità sotto casa - spesso un'inutile baronia, gradita solo ai docenti modesti e ai genitori egoisti - hanno svalutato la laurea. Negli ultimi anni, la differenza di stipendio tra un lavoratore laureato e un diplomato è diminuita del 6,2%. Brunetta dice: «Dietro la difesa dei padri a scapito dei figli c'è la difesa dell'esistente contro il cambiamento, della conservazione contro l'innovazione». Ichino lo invita a passare ai fatti, lasciando perdere le battute da talk-show. Io non sono dotto come il professore né polemico come il ministro, ma chiedo a quest'ultimo: scusi, ma il suo collega Tremonti non va cantando la lode del posto fisso? E poi: se il lavoro è un'emergenza, perché avete passato mesi ad accastastare proposte della giustizia, invece di lanciarvi in una rivoluzione del lavoro?
Perché di questo c'è bisogno: una rivoluzione. La sinistra non ne è capace: provateci voi. Occorre un sistema che unisca flessibilità e sicurezza, e rimetta in moto la macchina italiana. I nostri stipendi netti sono del 32% inferiori alla media Ue e stanno al 23° posto nella classifica Ocse dei 30 Paesi più industrializzati. Ovviamente: il posto fisso, in Italia, si paga. La sicurezza è talmente rara che il prezzo è salito alle stelle. Certo, c'è chi in tutto questo ci sguazza. Ricordiamo che nel 2009 solo 149 mila contribuenti (tre su mille!) hanno dichiarato un reddito lordo sopra i 150 mila euro. Tra questi gli autonomi, i professionisti e gli imprenditori sono solo 20 mila. Ma questo è un altro film. Se il ministro Brunetta volesse farcene la recensione, gliene saremmo grati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quoto a pieno l'intervento... questa volta lo riporto in "rosso" perché è il colore che Severgnini usa sul suo blog.

Continuiamo a parlarne !!!

Luca

mercoledì 10 febbraio 2010

Le risposte di Brunetta non tardano mai ad arrivare - Luc@ + articolo



"Si tratta di assicurare un reddito dignitoso e sufficientemente stabile e non un posto fisso".
Renato Brunetta docet...
(http://www.corriere.it/politica/10_febbraio_10/brunetta_737ed186-160f-11df-9e42-00144f02aabe.shtml)
Peccato che per acquistare una macchina, ottenere un prestito, accendere un mutuo occorra "il posto fisso". Ma allora, diciamo che occorre "rinnovare tutto" per rinnovare niente ? Il reddito non mi è mancato, lavoro da 12 anni senza interruzioni e ho cercato di cambiare in continuazione nella speranza di essere assunto. Non ce l'ho ancora fatta, ma come si dice, chi l'ha dura la vince ? No ?

Le considerazioni arrivano dopo l'articolo di lunedì 8 febbraio scritto da Pietro Ichino sul Corriere
(articolo da incorniciare che riporto per intero ndr):
http://www.corriere.it/economia/10_febbraio_08/welfare_dei_figli_a548d8dc-1480-11df-95c9-00144f02aabe.shtml?fr=correlati

Un lusso anche i contratti di serie B Nessuno pensa al Welfare dei figli

LETTERA SUL LAVORO

Un lusso anche i contratti di serie B Nessuno pensa al Welfare dei figli

Caro Direttore, il ministro Renato Brunetta ha molta ragione quando avverte che il diritto del lavoro, e in particolare l'articolo 18 dello Statuto del 1970, oggi si applica soltanto ai padri e non ai figli. Gli italiani, però, hanno diritto di sapere che cosa il ministro propone seriamente— e non soltanto con una battuta in un talk show —per superare il regime di apartheid che penalizza la nuova generazione di lavoratori.

È vero: da anni, ormai, a un ventenne o trentenne che cerca lavoro in Italia le aziende offrono di tutto, tranne che un rapporto di lavoro regolare. E anche un rapporto di lavoro di serie B —«a progetto», o comunque a termine— è già considerato, in molte situazioni, un privilegio difficilmente ottenibile, rispetto alla «normalità», costituita dal lavoro di serie C: stage semigratuiti in azienda tutto lavoro e niente formazione, assunzione con partita Iva per mansioni d’ufficio, di cantiere, di negozio, di call center, di magazzino, che erano tradizionalmente considerate come lavoro dipendente. Case editrici in cui da anni non si assume più un redattore o un correttore di bozze con un contratto normale di lavoro dipendente; case di cura private che formalmente non hanno alle proprie dipendenze neanche un solo medico, un solo infermiere, un solo barelliere: tutti a partita Iva, oppure soci di cooperative di lavoro a cui il servizio viene appaltato.

Stessa musica nel settore pubblico, dove ormai domina sempre più diffusamente l’«esternalizzazione» delle funzioni mediante cooperative e altri appaltatori, che utilizzano ogni forma di lavoro atipico. Accade pure che dopo un periodo più o meno lungo di anticamera anche un ventenne o trentenne finisca coll’ottenere l’agognato posto di lavoro stabile regolare; ma il punto è che il datore di lavoro ha di fatto la possibilità di scegliere che il lavoratore, anche se sostanzialmente dipendente, resti escluso dalla protezione regolare per decenni. In altre parole: il diritto del lavoro sta perdendo la sua natura di standard minimo di trattamento universale, per assumere la natura di un ordinamento eminentemente derogabile: chi vuole lo applica e chi non vuole no. Naturalmente, poi, quando viene la bufera, a pagare per primi sono sempre i non protetti: i 500 mila lavoratori italiani che hanno perso il posto nei mesi passati di recessione sono ovviamente quasi tutti di serie B e C. Dunque: il ministro fa bene ad aprire gli occhi su questa realtà, a riconoscere che il nostro mercato del lavoro e il nostro sistema di protezione sociale non sono affatto «i migliori del mondo», come egli stesso ci ha detto solo pochi mesi or sono. Ma deve anche dire quale è la sua diagnosi del fenomeno e quale la terapia che propone. Una cosa è certa: il problema non è soltanto di controlli e di repressione delle frodi. Controllo e repressione servono quando la violazione o elusione delle regole è un fenomeno marginale; quando invece— come oggi accade per il nostro diritto del lavoro —violazione ed elusione diventano un fatto normale su larga scala, è l’ordinamento stesso che deve essere rifondato. La disciplina italiana del rapporto di lavoro regolare è vecchia ormai di oltre quarant’anni. È stata scritta quando non esistevano né i computer, né Internet, ma neppure i fax e le fotocopiatrici; quando era normale che un giovane entrasse in un’azienda con la prospettiva di restarci per trenta o quarant’anni svolgendo la stessa mansione, più o meno con gli stessi strumenti e le stesse tecniche. Oggi il tempo di vita di una tecnica produttiva (ma anche di un prodotto o di un materiale) non si misura più in decenni, ma in anni o addirittura in mesi; le imprese nascono e muoiono con un ritmo incomparabilmente più rapido rispetto ad allora.

Così stando le cose, la sicurezza economica e professionale dei lavoratori non può più essere affidata al modello del «posto fisso». Ed è in larga misura inevitabile che le imprese facciano di tutto per eludere, nelle nuove assunzioni, una disciplina della stabilità del lavoro, come quella dettata dall’articolo 18 dello Statuto del 1970, che condiziona lo scioglimento del rapporto di lavoro per motivi economici od organizzativi a un controllo giudiziale che può richiedere due, quattro o sei anni; e al Sud anche otto o dieci. La soluzione, allora, non è togliere l’articolo 18 ai padri, ma riscrivere il diritto del lavoro per i figli, per le nuove generazioni; in modo che esso torni capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti che si costituiranno da qui in avanti. E garantire davvero a tutti non l’impossibile «posto fisso», ma quella protezione contro le discriminazioni e quella rete di sicurezza nel mercato, da cui oggi la nuova generazione dei lavoratori italiani è per la maggior parte esclusa.

di Pietro Ichino
© RIPRODUZIONE RISERVATA




lunedì 8 febbraio 2010

Se l'agenzia dice no... - lettera dalla rete



Diploma di terza media: e l'agenzia dice no

Stamattina ho ricevuto l'ennessimo "NO" da parte di un'agenzia web perché alla voce "Titoli di studio" del mio curriculum c'è scritto "Terza media". Non ho potuto finire il liceo per problemi di salute, ma non ho mai smesso di studiare per conto mio. Mentre i miei amici si diplomavano ed entravano nel mondo del lavoro o dell'università, io ero tutta concentrata a uscire dai miei problemi (accompagnati da madre e prozia invalide), quindi non solo non ho un diploma, ma neanche esperienze lavorative da mettere nel Cv. Bene, mi dissi tre anni fa, mi inventerò un lavoro. Ho comprato un Pc e ho cominciato a smanettare con la programmazione web. Sono diventata una webmaster (anche se mi definisco smanettona). Ieri ho risposto ad un annuncio - decisamente sgrammaticato - di un'agenzia che cercava giovani webmaster nella mia zona. Tutto è andato bene finché non hanno letto la voce che ho citato sopra. Io, prima di lasciare, frequentavo il Liceo Classico. Indirizzo di studio che il Pc te lo fa sognare, quindi, anche se mi fossi diplomata, non avrei avuto nessuna nozione sulla programmazione web. Non è difficile intuire che il diploma nel mio ambiente serve a poco. Ma nonostante ciò, il no è arrivato asciutto e senza speranza. Ora sono piena di interrogativi orfani di risposte. Mi viene da pensare che non importa se io sappia il perché si mette l'apostrofo ad un "po'"invece che l'accento, non importa se io sappia il significato della parola "etiologia", ad esempio, l'importante è che qualcuno abbia certificato la mia sapienza su un pezzo di carta anticato e pieno di lettere ricciute. La metà dei miei amici è laureata, tutti di loro non sanno distinguere la Camera dal Senato, ma sulla carta l'ignorante sono io. Amen.

Francesca Luciani

Sarebbe bello poter magari intraprendere un corso serale in questi casi...
peccato che nel mio caso, a Milano, il comune non abbia giustamente pensato di chiudere il liceo serale Ghandi... non resta che ricorrere, per chi può permetterselo, ad una scuola privata.
Oppure, come mi ricorda Francesca, finire magari dietro le sbarre, dove hai anche l'opportunità di laurearti se vuoi... Luca